di Lorenzo Santucci (huffingtonpost.it, 3 giugno 2025)
«Non voglio distruggere niente, voglio solo che Donald Trump sia consapevole». Per 50 Cent (al secolo Curtis James Jackson III) l’affaire Diddy (Sean John Combs, già noto come Puff Daddy e poi P. Diddy) è una questione personale. Una semplice frase del presidente americano, che, a specifica domanda, ha detto di voler esaminare il caso del rapper accusato di traffico sessuale, associazione a delinquere e favoreggiamento della prostituzione, in vista della concessione della grazia presidenziale, ha fatto scattare subito il grande rivale.
Se riconosciuto colpevole nel processo più seguito dell’anno negli Usa, Diddy rischia l’ergastolo. Lui continua a dichiararsi innocente, nonostante le drammatiche testimonianze che hanno dominato la scena nelle udienze in tribunale. «Non so, di certo guarderei ai fatti» ha affermato Trump parlando venerdì dallo Studio Ovale, pur ammettendo che da anni non vede né sente l’imputato. «Una volta gli piacevo molto. Da quanto ho letto, quando mi sono candidato, credo però che quel rapporto si sia incrinato». Poco importa: «Se penso che qualcuno sia stato maltrattato, che io gli sia simpatico o antipatico non fa differenza». 50 Cent ha iniziato subito la sua opera di dissuasione.
È l’ennesima storia americana che vede frapporsi politica e hip hop. Un connubio che si è fatto più stretto con l’elezione di Barack Obama, primo presidente afroamericano e dunque più vicino alla corrente musicale sbocciata negli anni Sessanta. Ma anche Trump ha trasformato il rap in strumento elettorale. A iniziare da Kanye West, che, insieme all’ex stella dei Chicago Bulls Dennis Rodman, avrebbe dovuto facilitare il ripristino delle relazioni tra Stati Uniti e Corea del Nord. Ye, come di fa chiamare adesso Kanye West, è un grande ammiratore di Trump, sebbene abbia provato anche lui a candidarsi per la Casa Bianca.
L’endorsement per il tycoon è arrivato anche da Ice Cube, Lil Wayne, Snoop Dogg, Lil Pump (e non Lil Pimp, come lo chiamava Trump), e ovviamente 50 Cent. Così anche Diddy. Ma il suo rapporto con Trump è per lo più imprenditoriale. Entrambi erano in auge negli anni Novanta – Trump nel mondo immobiliare, Diddy sulla scena musicale – e, dunque, era facile ritrovarli negli stessi posti. Il circoletto che frequentavano a New York, il primo originario di Manhattan e il secondo di Harlem, era sostanzialmente lo stesso.
Tante foto li ritraggono uno di fianco all’altro. Trump e l’allora Puff Daddy si piacevano – «Penso che sia una buona persona, un buon amico» diceva il futuro presidente, ricambiato in pieno dal rapper: «È un mio amico e lavora duramente» –, ma tutto è improvvisamente cambiato con le elezioni del 2020. «Gli uomini bianchi come Trump devono essere banditi. Il loro modo di pensare è davvero pericoloso. Siamo in una guerra tra amore e odio. La priorità numero uno è cacciare Trump dall’incarico», tuonava Diddy appoggiando Joe Biden.
Sul cambio di bandiera fa leva oggi 50 Cent per convincere il presidente a pensarci bene prima di graziare uno che lo ha tradito, attraverso alcuni post pubblicati su Instagram – compreso quello in cui sottolinea di non voler annientare Combs, ma solo far ragionare Trump «affinché sappia cosa provo per quest’uomo». Trump, sostiene 50 Cent, «non accetta la mancanza di rispetto e non dimentica chi sceglie di porsi contro di lui. Mentre lavora instancabilmente per rendere l’America di nuovo grande, non c’è spazio per le distrazioni. Considererebbe la possibilità di perdonare chiunque sia stato maltrattato, ma non Puffy Diddy», scrive giocando con il nome del rivale e la parola Puffy, cioè “tronfio”.
Gli ultimi due post di 50 Cent riprendono un’intervista di cinque anni fa in cui Diddy parlava (male) dell’America di Trump. Primo post: «Vedi, a Trump non piace merda come questa amico, parli troppo». Secondo post: «Beh amico, non posso chiedergli aiuto». A spingere 50 Cent contro Diddy è la rivalità che si è instaurata negli anni tra i due rapper. Anche loro, a fine anni Novanta, avevano lavorato insieme – 50 Cent ha collaborato al brano Let’s get it di Diddy –, ma non si sono mai davvero presi.
Lo scontro si era consumato sulle barre, come quelle con cui 50 Cent nel 2006 insinuava il dubbio che dietro l’omicidio di Biggie Smalls ci fosse proprio Diddy. Poi sugli affari extramusicali, come le etichette di vodka create da entrambi. Infine le ultime accuse sessuali contro Diddy, su cui 50 Cent sostiene di aver sempre avuto perlomeno il sospetto. Tanto che sta lavorando a un documentario per Netflix in cui ripercorre la vicenda: «Non possiamo permettere che le azioni di una persona mettano in ombra l’intera cultura dell’hip hop».
Ma quelle azioni potrebbero diventare secondarie con una semplice firma di Donald Trump. Nel caso, sarebbe l’ennesimo cambio di idee. Durante la campagna elettorale, il tycoon aveva rilanciato una foto (falsa) che avrebbe voluto dimostrare la presenza di Kamala Harris alle feste private di Puff Daddy, quando in realtà si trattava solamente di una somiglianza tra il rapper e l’ex fidanzato della Harris: «Signora vicepresidente, è mai stata coinvolta in una delle sue follie?». Le stesse che Trump starebbe pensando di cancellare.