Berlusconi e la sedia di Travaglio

LaPresse

di Patrick Facciolo* (linkiesta.it, 1° maggio 2025)

Il 10 gennaio 2013 si è verificato uno degli episodi che avrebbero segnato per anni la storia della comunicazione politica italiana. Silvio Berlusconi era ospite di Michele Santoro nella trasmissione Servizio pubblico su La7, insieme al giornalista Marco Travaglio, che nei suoi interventi rivolse duri attacchi allo stesso Berlusconi.

Dopo la lunga lettura di un documento in cui Berlusconi accusava Travaglio di aver ricevuto condanne durante la sua carriera, il politico tornò a sedersi sulla stessa sedia su cui era stato poco prima e sulla quale, però, durante il suo intervento aveva preso posto il giornalista. E prima di accomodarsi, estrasse un fazzoletto di stoffa dalla tasca dei pantaloni e fece il gesto di pulirla. Prima di approfondire questa sequenza, ci tengo a evidenziare la clamorosa fallacia argomentativa che ha costituito la prima parte di questo intero episodio. Quella, per intenderci, che è avvenuta quando Berlusconi era ancora seduto alla scrivania.

La prima fallacia, sopra tutte, è la fallacia ad hominem sottintesa da Berlusconi, e sintetizzabile col passaggio: “Ciò che afferma Travaglio non è valido, perché in passato è stato condannato”. Eppure, il fatto che il giornalista in passato fosse stato condannato nulla diceva circa il valore di verità delle affermazioni che Travaglio aveva fatto quella sera sul conto di Berlusconi, né delle argomentazioni esibite dal politico durante tutta la serata.

Alla fallacia argomentativa ad hominem se ne aggiungono una seconda e una terza, rispettivamente la tu quoque (“anche tu come me”) e la fallacia di falsa equivalenza: “Se è vero che io ho avuto problemi con la giustizia, ne hai avuti anche tu, quindi non sei attendibile”. La paradossalità dell’argomentazione sottintesa qui è evidente, poiché finirebbe per affermare implicitamente che nemmeno lo stesso Berlusconi sarebbe credibile, avendo avuto lui stesso problemi con la giustizia.

Senza contare che il reato di diffamazione per cui Travaglio era stato condannato non era comparabile ai reati penali ben più gravi per i quali era indagato Silvio Berlusconi. A questa seconda falsa equivalenza se ne aggiunge un’ulteriore, considerato che Silvio Berlusconi era un politico enormemente importante all’epoca dei fatti che gli venivano contestati, pertanto si trattava di un ruolo pubblico di incomparabile importanza rispetto a quella di un giornalista.

Un triplo salto carpiato di fallacie logiche insomma, esibite tutte in una volta. Ora, possibile che quasi nessuno si sia accorto di tutto ciò, mentre assisteva passivamente a quello spettacolo? È accaduto perché la sequenza scenica in quella circostanza ha avuto la meglio, forse a causa del fenomeno psicologico che va sotto il nome di picture superiority effect di cui avremo modo di parlare estesamente più avanti.

Analizziamo in sequenza le innumerevoli azioni specifiche che Berlusconi ha compiuto in un tempo brevissimo:

    • Silvio Berlusconi (da qui in poi “B.”) nota che al suo posto è seduto Marco Travaglio;
    • B. torna a sedersi, esclamando: «Questo è il signor Travaglio… Mi lasci il posto e si accomodi al suo, per favore»;
    • B. accompagna la frase con gesti illustratori (che sottolineano il significato delle proprie parole) e viola la distanza intima (cioè nello spazio compreso tra 0 e 45 centimetri, secondo la celebre classificazione dell’antropologo Edward T. Hall), facendo segno a Travaglio di andarsene;
    • B. prima di sedersi ha l’intuizione di pulire la sedia di Travaglio;
    • B. agita il blocco di fogli che tiene in mano come se stesse “arieggiando” la sedia;
    • B. decide di enfatizzare ulteriormente l’azione;
    • B. si rende conto di avere il fazzoletto in tasca e di poterlo utilizzare come oggetto scenico;
    • B. estrae il fazzoletto e lo utilizza per “pulire” la sedia;
    • B. sorride in modo asimmetrico e si accomoda espandendosi sulla sedia;
    • B. risponde ai fischi del pubblico e ai commenti di Michele Santoro esclamando: «Non sapete nemmeno scherzare».

Vi invito a osservare (in Rete trovate il video originale) anche la disinvoltura con cui Silvio Berlusconi, in questa sequenza, si “espande” nello spazio, viola la distanza intima rispetto agli interlocutori, si avvicina, muove le braccia, spinge via, occupa volumetricamente più spazio allungando e allargando le braccia. Si tratta evidentemente, e ancora una volta, del tema della memoria implicita cui facevo riferimento in precedenza: gli individui possono acquisire nel tempo confidenza con lo spazio e muoversi liberamente all’interno di esso, espandendosi nell’ambiente.

Al di là di tutte le implicazioni semiotiche (legate cioè ai segni e ai significati) di questa sequenza, ormai analizzata negli anni in moltissimi modi, quest’episodio ci dimostra platealmente che alcune delle azioni comunicative “memorabili” (ci piaccia o non ci piaccia, quella scena ce la ricordiamo ancora in moltissimi) non sono studiate a tavolino. Per quanto l’intemerata di Silvio Berlusconi contro Marco Travaglio fosse preparata (tanto che si presentò in studio con un plico di fogli che lesse pedissequamente), per Berlusconi sarebbe stato impossibile prevedere che Marco Travaglio per ascoltarlo avrebbe occupato transitoriamente proprio la stessa sedia su cui lui stesso era stato seduto in precedenza, e dove sarebbe tornato dopo la lettura del documento alla scrivania.

Ed è per questo che possiamo dire con certezza che l’azione di Silvio Berlusconi con il fazzoletto fu necessariamente improvvisata. Vi ho fatto questo esempio, quindi, anche per rispondere ulteriormente alla domanda circa la predeterminazione da parte dei politici di molte delle proprie azioni comunicative. Ebbene, la risposta ancora una volta è: c’è chi studia nel dettaglio cosa fare, e c’è chi sviluppa così tanto le proprie doti comunicative da imparare a improvvisare con disinvoltura.

*da: Fallacie logiche, Harper Collins, Milano 2025

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