Susan Sarandon: “Con Trump un fascista al governo”

di Manuela Santacatterina (hollywoodreporter.it, 11 maggio 2024)

«Rispondendo a questa domanda mi assicurerò di rimanere nella lista nera per il resto dell’anno». Susan Sarandon, giurata del Riviera International Film Festival e protagonista di una masterclass sold out nell’ex Convento dell’Annunziata di Sestri Levante, sorride accompagnata dall’applauso del pubblico dopo che THR Roma le domanda cosa abbia provato quando, nel novembre del 2023, è stata scaricata dalla United Talent Agency, l’agenzia con cui lavorava dal 2014, a seguito dei commenti fatti durante un raduno pro-Palestina a Union Square, New York, nello stesso mese.

Ph. Lucrezia Corciolani

«Per dieci anni sono stata nella mia agenzia lavorando con due donne ebree e non c’è mai stato un problema», ricorda l’attrice premio Oscar. «Ma quando ho iniziato a partecipare alle marce e a parlare, ho ricevuto una telefonata che diceva: “Sono sionista e non posso rappresentarti”. Sono rimasta scioccata, perché alle manifestazioni più della metà delle persone sono ebree. Essere ebrei non significa essere sionisti, e questo è un problema nel modo in cui questa storia viene presentata. Sono rimasta sbalordita perché sapevano chi ero. Sono politicamente attiva da quando sono arrivata a New York e da quando sono nel mondo del lavoro. Addirittura da quando andavo a scuola. Ma, allo stesso tempo, ho capito che, in quanto sionista, il suo sistema di credenze mi vedeva come una minaccia e un tradimento».

«La cosa brutta è stata che sono andati da Page Six, un giornale molto squallido, e hanno pubblicato anonimamente una storia drammatica su di me dicendo che ero antisemita e che sbraitavo. Tutte cose che non erano vere», continua Sarandon. «Ma questo ha fatto esplodere tutto. Sono stata una dei primi – se non la prima – a essere licenziata o a essere messa in disparte nel mio settore. È stato doloroso e scioccante, ma in un certo senso ho capito. Anche se è stato molto spiacevole».

Capelli rossi e uno spirito ribelle, l’attrice di cult come The Rocky Horror Picture Show, Piccole donne o Nemiche amiche, scherza con le persone in sala e definisce “eroina” la traduttrice simultanea che farà arrivare le sue parole a tutti i presenti. Parole che non tradiscono una vita passata a schierarsi a favore dei diritti altrui. Una missione condivisa anche con Tim Robbins, compagno sul set e fuori per lunghi anni, con il quale, agli inizi degli anni Duemila, ha fortemente criticato l’amministrazione di Bush Jr. per la guerra in Iraq.

«Qual era la seconda parte della domanda?», chiede poi l’attrice a THR Roma. «Ah, le elezioni! Cosa posso dire delle elezioni? Non lo so. Dovremmo essere il Paese più intelligente e ricco del mondo, e queste sono le scelte che abbiamo», risponde con una risata amaramente ironica l’attrice riferendosi a Joe Biden e Donald Trump, mentre il pubblico in sala l’applaude a più riprese. «Penso che questo dimostri come il sistema sia completamente rotto per quanto riguarda il modo in cui eleggiamo le persone negli Stati Uniti. C’è davvero un solo partito ed è controllato dal denaro delle aziende, dalle lobby delle armi e delle assicurazioni farmaceutiche. C’è davvero poca possibilità di fare qualcosa di progressista. Bernie Sanders, per cui ho lavorato, ci è andato vicino».

«Ma non abbiamo ancora un’assistenza sanitaria, abbiamo il debito studentesco, un’enorme crisi abitativa e dei senzatetto. Insomma, è tutto un casino», commenta l’attrice di Dead Man Walking. «Nessuno affronta questi problemi, anche quando vengono fatte promesse sull’ambiente. Si tratta di una questione esistenziale molto importante, di cui non si parla più. Non so cosa succederà. Probabilmente mi sto proteggendo dagli incubi. Non riesco proprio a immaginarlo. Credo che nessuno ci riesca. Penso che sarà molto difficile per Joe Biden essere rieletto, per molte ragioni. La più importante in questo momento è probabilmente Israele, che sta portando così tante persone a dire: “Il genocidio è il punto più basso oltre il quale non si può andare”. E in termini di fascismo – perché questo è ciò di cui siamo minacciati se non si vota per Biden – si avrà di nuovo Trump. E quindi un fascista. Penso che ci siamo già. Perché se c’è questa censura che permette di licenziare il custode di un edificio scolastico che è lì da vent’anni a causa di qualcosa che ha retwittato, beh, questa non è una democrazia».

Oltre un’ora seduta su una poltrona, sul palco, da sola, a rispondere alle domande del pubblico e dei giornalisti presenti in sala. Senza mai tirarsi indietro davanti a nessuna. Neanche a quelle più spinose che potrebbero metterla in difficoltà e renderle difficile il rapporto, già conflittuale, con Hollywood. «Nel mio lavoro ti viene chiesto di usare l’immaginazione e quando la usi puoi immaginare cosa significhi essere una madre con un figlio bombardato. Hai empatia. E quando ce l’hai non capisco come non si possa essere attivisti», risponde Sarandon a chi le domanda come sia riuscita a conciliare una carriera così importante con l’impegno legato alle cause sociali e civili. «È il nostro lavoro essere testimoni di quello che accade. Non penso che l’attivismo e la carriera di attrice siano così diversi, credo sia un collegamento molto semplice. Penso solo sia più difficile, oggi. C’è più censura e ci sono punizioni per aver fatto domande. Ma per me come madre e come persona è importante ricordarmi dove sono, dove vivo e che la mia responsabilità è nel mondo».

E come donna che sul grande schermo ha scelto spesso di raccontare personaggi femminili portatrici di messaggi sociali, l’attrice de Il cliente commenta anche la lunga e infinita ondata di violenza alle quali le donne, in ogni angolo del mondo, sono soggette. «I diritti delle donne sono anche i diritti degli uomini. Dobbiamo crescere i nostri figli maschi e non punire le nostre figlie. Abbiamo visto una correzione all’interno del #MeToo, ma credo che potrebbero esserci molti uomini utili al movimento se gliene fosse data la possibilità. Per Thelma & Louise non mi interessava fare un film di vendetta. Lo dissi a Ridley Scott. Il film affronta anche il tema dello stupro, e vent’anni fa nessuno ne parlava. Su quello le cose sono migliorate», osserva l’attrice.

«La tossicità maschile è sintomo di mancata fiducia in sé stessi. Gli uomini che ce l’hanno non hanno bisogno di essere dominanti. Possono essere sottoposti a molte pressioni, specie se crescono in una società che gli dice che hanno tutti i diritti e il mondo è loro. Fino a quando si accorgono che non è così. Quando ho avuto figli maschi, vedevo dei ragazzi dolci che subivano dall’esterno pressioni per diventare machi. Per me è stato molto doloroso. Mi ha fatto capire quale tragedia c’è dietro. Se odi, picchi o domini una donna, non hai una vita felice».

Autoironica, pungente, schietta. «Se ho mai rifiutato un grande ruolo? Vi sembro scema? Ma avrei voluto recitare ne Il padrino con Francis Ford Coppola, anche se è un film sugli uomini». Ad assistere alla sua masterclass un pubblico eterogeneo – con chi già dalla mattina presto si è appostato davanti l’ex Convento nella speranza di riuscire a strapparle una foto o un autografo –, composto da aspiranti attori, studenti e appassionati di cinema. Eppure, molte delle domande finiscono per parlare della situazione politica e sociale nella quale siamo immersi.

Tra le persone in sala c’è chi le chiede se il suo status di star di Hollywood le permetta di poter dire tutto ciò che pensa. L’attrice di Thelma & Louise scoppia a ridere e fa cenno di no con la testa. «La censura è molto forte, mette paura. I progetti vengono cancellati e puoi essere licenziato. Nessuno è arrivato al punto in cui non è soggetto a pressione. Basti pensare a Jonathan Glazer, che ha vinto l’Oscar come miglior film straniero per La zona di interesse», sottolinea Sarandon. «Oltre mille persone hanno scritto una lettera di condanna su di lui, dopo che ha fatto un film sull’Olocausto, a causa del suo discorso di accettazione. Non so cosa accadrà in termini di attivismo. I giovani si stanno auto-educando e organizzano proteste pacifiche. Ma sui giornali scrivono che sono violente. Ci sono molti modi per formare l’opinione pubblica, per incutere paura. In molti chiedono il cessate il fuoco in Palestina, ma il governo continua a finanziare Israele. Non so se la chiamerei democrazia».

Restando nell’ambito cinematografico, inevitabile una domanda sull’Intelligenza Artificiale che sta modificando sotto i nostri occhi i contorni del cinema proiettandolo verso un futuro ancora nebuloso. «Abbiamo visto con lo sciopero degli attori e degli autori che sappiamo molto poco del futuro dell’Intelligenza Artificiale. Quando ho fatto Blue Beetle mi hanno fatto un body scan completo e non so chi ce l’abbia. L’IA sta pian piano sostituendo e si sta impossessando dei corpi degli attori. Credo sia una ladra di fotografia e di scrittura, prende proprietà che non le appartengono e le mette nei computer. Ma non saprà mai cosa vuol dire amare o perdere qualcuno», dichiara la Sarandon.

«Sono preoccupata per i ragazzi che passano molto tempo coi videogiochi e non sanno più cosa sia reale o meno. Per loro è più facile accettarla. Uno dei miei figli, Miles, ha partecipato a un videogioco. Quando l’ho visto sembrava lui ma era come se ci fosse qualcosa di storto, come se gli avessero risucchiato l’anima. Non so cosa succederà, ma spero che gli umani vogliano continuare a vedere umani recitare. Al momento non possiamo fare granché. Si parla molto di protezione dei dati personali ma non si parla di copyright legati all’immagine, non ci sono tutele legali».

C’è tempo per un’ultima domanda. Una riflessione sulla cancel culture. «Penso sia tremendo cancellare una popolazione intera sotto le bombe a Gaza. Nessuno di noi sarà libero fino a quando non saremo tutti liberi», risponde seria Susan Sarandon mentre l’ennesimo applauso parte spontaneo e l’attrice alza il pugno in aria. Certe volte le leggende sono all’altezza della fama che le precede.

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