Le nuove tendenze beauty, dal recession blonde alla Mar-a-Lago face

Ph. Darren Halstead / Unsplash

di Susanna Macchia (repubblica.it, 10 maggio 2025)

Unblonding suona meglio di recession blonde. Sa meno di crisi economica e più di un divorzio educato e civile da qualcuno, o in questo caso qualcosa, cui eravamo molto legati. Ma la sostanza è la stessa: si sta lasciando il biondo canonico a favore di una sfumatura strategica che non ha bisogno di manutenzione e costosi ritocchi mensili dal parrucchiere.

Un colore in linea con il momento storico attuale e di cui in Rete non si fa che parlare «come se fosse una novità», dice Sergio Carlucci, co-founder e managing director di Toni&Guy Italia. Che continua: «Il cambiamento è in atto dal Covid in poi, da quando cioè si è registrata una leggera flessione delle visite in salone di circa il 10%. Le persone tendono ad andare dal parrucchiere non più di tre o quattro volte l’anno ma per sottoporsi a trattamenti più impegnativi, sia come tempo di permanenza in salone sia come investimento economico. E questo non solo perché si è disposti a spendere meno per i capelli, ma perché l’offerta dei trattamenti di benessere è talmente ampia che il pitstop dall’hairstylist è diventata una voce tra le tante».

Definirlo quindi un biondo da recessione non sarebbe così azzeccato: «Le schiariture che non creano lo stacco della ricrescita ci sono da sempre. E comunque se le possono permettere soltanto le persone che hanno i capelli già chiari di natura o che non hanno il problema dei bianchi: quindi la Gen Z. La stessa che poi inventa i trend sui social. Da qui la viralità del recession blonde», aggiunge Carlucci.

Secondo Roberta Sassatelli, docente di Sociologia all’Università di Bologna, ci sarebbe però da richiamare in causa il Lipstick Effect. Teoria economica secondo la quale nei periodi di crisi aumenterebbero le vendite dei prodotti di lusso accessibili come, appunto, i rossetti, «che da un punto di vista psico-sociale hanno una funzione di securizzazione e da quello politico di distinzione: ci si sente cioè ben posizionati nella scala gerarchica della società in un momento di turbolenza».

Il nuovo biondo sarebbe diverso ma collegato: «Non è semplice parsimonia vistosa, cioè “risparmio e lo faccio vedere”. C’è qualcosa di più che invece ha a che fare con lo svelamento dell’autenticità», continua la sociologa. «Lasciar intravedere la ricrescita è un modo per dare risalto al mascheramento dimostrandosi, in tal modo, autentici».

Un fenomeno che spiegherebbe anche un altro trend di grande attualità, quello cioè della Mar-a-Lago face, il look definito da botulino, abbronzatura intensa e trucco pesante caratteristico dell’entourage trumpiano. «L’immagine del presidente americano è talmente eccessiva da creare l’aspettativa che nasconda una verità forte. Paradossalmente è identico al no make-up di Pamela Anderson: l’assenza di trucco è un costrutto potente. Trattasi in entrambi i casi di maschere che alludono al fatto che dietro ci sia un sé vero».

Il desiderio di autenticità, e non la recessione, sarebbe la spiegazione socio-culturale delle due tendenze beauty più recenti: unblonding e Mar-a-Lago face. «Dietro tutto ciò c’è il grande tsunami dello sconfinamento tra pubblico e privato, dovuto in gran parte ai social. Prima, infatti, esisteva un luogo inaccessibile al mondo esterno dove gestire le proprie maschere e prepararsi per la scena condivisa. Adesso, invece, c’è lo smascheramento totale: si mostra già tutto, in modo tale che non ci sia niente che possa essere questionabile. I retroscena, però, esistono lo stesso: anche se si mostra la ricrescita o l’abbronzatura posticcia, c’è comunque qualcosa che non si espone», dice Sassatelli.

Il perché abbiamo questo bisogno estremo di autenticità «si spiega con il fatto che nella società dei consumi tutto è riconducibile al denaro, a quanto di meno autentico esista. Da qui l’esigenza di differenziarci mettendo in scena la verità», fake come il nuovo biondo.

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