di Guia Soncini (linkiesta.it, 1° luglio 2025)
Chi sono le due persone più detestate dagli italiani? No, non quelle con più detrattori e altrettanti estimatori: Giorgia Meloni non vale, per dire. No, non quelle che magari voi trovate detestabili ma di cui le persone normali neanche si ricordano l’esistenza: neanche Elly Schlein vale.
Chi sono le due persone così autenticamente antipatiche che stanno antipatiche anche a chi le trova simpatiche, anche a chi magari le vota o le ascolta o le segue o pensa che abbiano delle qualità? Sono abbastanza sicura che quelle due persone siano Matteo Renzi e Federico Lucia. Il primo è un ex Presidente del Consiglio come ce ne sono tanti, il secondo è un ex marito della Ferragni come ce n’è solo uno. Quindi, com’è giusto che sia, il primo è andato a rendere omaggio al secondo, che per accoglierlo nel suo podcast neppure s’è messo in tiro: era come stava per casa – ma a questo poi ci arriviamo, prima parliamo di orologi.
Matteo Renzi ha un problema coi soldi, come molti italiani. Ha il problema d’una popolazione che pur essendo Mazzarò, l’arricchito di Verga, ha organizzato una società fondata sulla convinzione che il denaro sia una roba impresentabile. Può una società di avidi decidere che l’avidità è una brutta cosa? È un disturbo nervoso? Vai a capire. Fatto sta che, da quando invece che governare fa i soldi, Renzi è come il Povero ricco di Renato Pozzetto: costretto dal suo bisogno di dimostrare non si capisce cosa a non si capisce chi a fingersi meno benestante di quanto è. Non c’è, e nessuno lo capisce meglio di Fedez, frustrazione più odiosa che non poter ostentare i soldi che non hai ereditato: cosa ti sei sbattuto a fare a farli, se non puoi mostrarli?
Nel corso dell’intervista Renzi regge con la pantomima di quello che tiene un basso profilo sulla fatturazione, Fedez e il suo co-conduttore con treccine gli rinfacciano Bin Salman, e lui dice che i suoi redditi sono pubblici, e che di quel totale gli emiri sono responsabili al massimo al cinque per cento, che lui non lo puoi comprare e altre frasi fatte assortite. Poi arriva il finale. Nelle commedie americane poco riuscite alla fine si mettono i bloopers, le scivolate alla Paperissima, le battute sbagliate dagli attori, i finti dietro le quinte che al pubblico piacciono perché s’illude di spiare qualcosa che non dovrebbe vedere e così va a casa contento e non si ricorda che il film non gli era piaciuto. Si fa da mezzo secolo, quindi ormai il trucco l’hanno imparato tutti, e tutti continuano a girare quando teoricamente la conversazione è finita.
Ma, se Vittorio Emanuele di Savoia poteva non avere tanta confidenza coi mezzi audiovisivi e raccontare cose poco edificanti quando le telecamere di Beatrice Borromeo erano ancora accese, possiamo pensare che Matteo Renzi, seduto al tavolo del podcast e microfonato e tutte cose, non s’immaginasse che avrebbero usato le sue frasi prima e dopo la conversazione ufficiale? Era ovvio, suvvia. È ovvio che Renzi è scisso tra il sé che argina la maramalderia entro confini socialmente accettabili – perché deve pur sempre dire che lui è un uomo delle istituzioni, mica una influencer come la Meloni (poi su questo plagio ci torniamo), che lui ha fatto le riforme, che lui è una persona seria – e quello che vorrebbe imitare Leonardo DiCaprio quando lancia le banconote addosso ai poliziotti in The Wolf of Wall Street. E sa che Fedez è la spalla perfetta per fare la seconda cosa.
Nell’intervista ufficiale c’è stato un interessante momento in cui Fedez ha sbuffato sentendogli dire che lui ai lavoratori aveva dato ottanta euro in più, Renzi gli ha detto che ci sono quelli per cui facevano la differenza, ma lui che ne sa, «sei milionario», quello aveva messo su la faccia contrita simulando rispetto per i poveri (che nessuno detesta quanto gli ex poveri), poi ci aveva ripensato e gli aveva detto che lui i soldi li aveva fatti, «e comunque è “multimilionario”». Ma la parte migliore arriva, giambrunamente, nel fuorionda che tale non è. Federico chiede che orologio abbia, Matteo risponde citando Comunisti col Rolex, e poi l’uomo che ha deciso di non fare mai più il leader della sinistra (e di farsi rompere i coglioni a vita dai pauperisti come neanche D’Alema con le scarpe su misura) dice queste parole: «Non ho il Patek perché non me lo son comprato». Al che il multimilionario risponde «Io ce ne ho due», e l’uomo degli ottanta euro conclude «Ora ne devo comprare tre».
In tutta questa ora di conversazione, che si svolge nello studio del Pulp Podcast ma soprattutto si svolge nel mondo più tamarro che l’Occidente abbia mai conosciuto, quello in cui sono tamarri i nati ricchi figuriamoci gli arricchiti, in questa intervista davanti alle telecamere l’uomo con due Patek Philippe tiene sulle occhiaie due appiccichini di quelli che si usano per sgonfiare le borse sotto gli occhi. Che io, poco di mondo, mi ostino a pensare si tengano in casa per poi essere presentabili fuori. Ma l’altro giorno Elisabetta Franchi ha fatto dei video chiedendo cose ai suoi follower con la maschera di bellezza in faccia, e quindi mi sembra chiaro che solo noi piccolissimi borghesi siamo rimasti affezionati a prescrittività vecchie quali la differenza tra il pubblico e il privato. I multimilionari hanno deciso che il privato è pubblico: è la naturale evoluzione di Zuckerberg che va dagli azionisti in ciabatte, immagino. Sono pronti per il primo piano con gli appiccichini per le borse sotto gli occhi, la canotta, e un orologio che costa come un appartamento.
Infine, scusate, una conclusione di purissima mitomania. Copincollo da un mio articolo del 2021 su Io sono Giorgia, l’autobiografia della allora non ancora Presidente del Consiglio. «Scrive: “Al termine del percorso, ognuno di noi dovrà rispondere a questa domanda implacabile: Sono riuscito a cambiare qualcosa del sistema, oppure ho lasciato che fosse il sistema a cambiare me?”; e la risposta sottintesa è che lei no, lei non è cambiata, lei è sempre sé stessa, proprio come la influencer media, la concorrente di Grande fratello media, l’elettrice media». In seguito l’ho scritto parecchie altre volte, che Giorgia diceva a quel pubblico che è l’elettorato “sono una di voi” più efficacemente di chiunque altro. Che era la più efficace delle influencer: l’ho scritto finché aveva senso scriverlo; non sono sicura che avrei usato la categoria dell’influencer dopo la caduta della Ferragni, ma Matteo Renzi ha molto da fare e non avrà avuto tempo d’ispirarsi prima.
Si senta comunque libero di girarmi non dico le royalties di tutte e quindicimila le copie che il suo L’influencer ha venduto dall’uscita, ma almeno quelle delle sessantotto copie vendute la scorsa settimana. O quelle della prossima, quando le copie non potranno che crescere, quando il pubblico a bassissima capacità di concentrazione di questo secolo, dopo aver intravisto che era stato ospite dell’ex marito della Ferragni, vedrà la copertina e comprerà il tomo, convinto che sia un resoconto del giorno in cui Matteo è andato da Federico a fare a chi ha il Rolex più grosso.