Chi sono le due persone più detestate dagli italiani? No, non quelle con più detrattori e altrettanti estimatori: Giorgia Meloni non vale, per dire. No, non quelle che magari voi trovate detestabili ma di cui le persone normali neanche si ricordano l’esistenza: neanche Elly Schlein vale.
L’unica cosa di cui m’interessa parlare in questo articolo è la sindrome Marilyn, ma poiché sono vile comincerò dai maschi: come disse Jack Nicholson molti anni prima di Dario Brunori, l’ultima categoria con cui è possibile prendersela è il maschio etero bianco. Comincerò da George Clooney, che compare su un palcoscenico di Broadway (e alla Cnn, che ha trasmesso la penultima replica del suo spettacolo).
Di recente sono stata in giro per una città italiana con un gruppo di persone tra le quali c’era un tizio che, di mestiere, compare alla tv inglese. La tv è un mezzo del secolo scorso, e perlopiù (con l’eccezione d’una minoranza di prodotti) è un mezzo a fama controllata: ti conoscono nel posto in cui quel programma va in onda.
«Ma io dico, ma Totti no, all’Europeo che fa il cucchiaio, prima del calcio di rigore je vai a chiéde la foto?». Lo dice Tony Effe, chiunque egli sia, intervistato alla tele da Alessandro Cattelan, e lo dice rovinandosi per sempre la possibilità d’avere una carriera televisiva: si sta lamentando dei microfonisti che a Sanremo gli chiedevano una foto assieme un secondo prima che salisse sul palco, i tecnici Rai hanno memoria da elefanti, Tony Chi? dovrà espiare a lungo.
Nell’era digitale anche la genitorialità è diventata un contenuto consumabile attraverso gli schermi dei nostri telefoni, trasformando momenti intimi e sensibili della vita dei più piccoli in attrazioni che nutrono gli algoritmi delle piattaforme. Sono infatti sempre più numerose le famiglie che scelgono di condividere la vita dei loro figli on line, con un numero sempre maggiore di account che guadagnano cifre astronomiche attraverso la loro esposizione.
Questo articolo rappresenta la mia sconfitta. Io volevo essere una grande intellettuale (era la mia ambizione di ripiego, fallita quella di miss In Gambissima), e invece eccomi qui a occuparmi di gente della quale tra cinquant’anni (ma pure tra cinquanta mesi) i filologi che studieranno la mia opera diranno: chi?! Eccomi qui ad analizzare il caso di Augusta Montaruli (chi?!) che va al programma di Tiziana Panella (chi?!).
A casa mia è successo tutto nello stesso momento, ieri pomeriggio. Stavo ascoltando un podcast con ospite Gianni Morandi, e scrivendo bestemmie all’amica che me l’aveva segnalato: ma ti pare che mi fai sentire questo intervistatore che non sa niente, questo cane che come tutti i conversatori scarsi tenta di finirgli le frasi senza mai mai mai capire dove Gianni vada a parare, questo cane bau.
«Comportarsi da bulli aiuta nella vita, anche se ha un prezzo. Davanti ai bulli si tace, si sopporta o ci si inchina. Quasi mai, però[,] li si ama. Arrivano alla pancia. Non al cuore». È la chiusa del corsivo dell’altro ieri di Massimo Gramellini, forse articolo vincitore del premio “Capire meno il mondo” 2024, un anno nel quale c’è stata tesa competizione per il trofeo. Ma lunedì, davanti alla prima pagina del Corriere, ho avuto quel friccico che si ha di fronte alla vera incomunicabilità, ai capelli che fanno male, ai croccantini di Pavlov fuoriusciti dalla ciotola.
Adesso stai a vedere che riescono a trasformare Chiara Ferragni in un Enzo Tortora. Mettete giù quell’indignazione, non c’è bisogno che mi notifichiate le differenze tra un errore di persona e una che invece è proprio la Ferragni, quella che diceva accattatevill’ (il pandoro) e cureremo i bambini malati: giuro che ho contezza che non sia la stessa dinamica in entrata. Temo però lo stesso effetto in uscita, quello che discende dall’accanimento.
Per spiegare perché l’inciampo di Naomi Campbell è probabile non divenga il declino di Chiara Ferragni, è necessario partire da Boris Johnson. Anzi no, da Kate Middleton. Anzi no, da Teri Hatcher. Nell’aprile del 2006, Desperate Housewives è alla fine della seconda stagione, ed è il prodotto televisivo del momento in un modo che è difficile da far capire a chi sappia leggere il mondo solo con gli strumenti di due decenni dopo, quando di prodotti televisivi del momento ce ne sono una cinquantina l’anno.