Prima che i social media diventassero piazze virtuali in cui condividere opinioni, proteste e dichiarazioni d’intenti, era il cotone a farsi portavoce dei manifesti più dissonanti. Le celebrity, spesso sotto assedio mediatico, trovavano nelle t-shirt stampate un canale diretto, immediato e visivo per rispondere ai gossip e rivendicare il proprio punto di vista.
Abiti che parlano. O meglio, che lanciano messaggi di emancipazione, di femminismo. Sono i due marchi di fabbrica di Maria Grazia Chiuri, da sei anni direttrice creativa di Dior. Al fianco delle donne per dar loro voce. L’ultima a sfilare con una sua creazione è stata Chiara Ferragni che, sul palco dell’ultimo Festival di Sanremo, ha sfoggiato abiti manifesto della stilista italiana che ha regalato alla maison un boom di vendite. Dal 2017, quando sono state messe in vendita le prime collezioni della Chiuri, i ricavi di Dior sono triplicati, raggiungendo i 6,6 miliardi di euro.
di Raffaella Perna (vanityfair.it, 23 settembre 2020)
La moda non è soltanto un’estensione del corpo, ma anche un’interpretazione più o meno conscia della propria personalità: «No One Escapes Fashion», ha affermato Ingrid Giertz-Mårtenson in occasione della mostra Utopian Bodies. Fashion Looks Forward (2015). Nessuno di noi infatti può sfuggire all’ambiente che ogni giorno ci costruiamo attorno, così come nessuno di noi sfugge all’influenza della moda: l’abito è uno strumento che ci accompagna quotidianamente, strettamente legato alla soggettività e all’autorappresentazione, e nel contempo è un fenomeno collettivo, grazie al quale idee, convinzioni, saperi, emozioni, desideri prendono forma tangibile.