
di Giulio Zoppello (wired.it, 13 ottobre 2025)
Strange Days dopo trent’anni rimane uno dei momenti cinematografici più importanti degli anni Novanta. Kathryn Bigelow, in quel giro di boa del decennio, ci regalò un sontuoso affresco distopico, un’istantanea perfetta di ciò che sarebbe stato il nostro mondo da quel momento in poi.
Apparenza, egoismo, solitudine, il trionfo di un capitalismo selvaggio che ha nel voyeurismo la propria espressione più dominante, da quel 1995 sono diventati tristemente familiari. Strange Days nasce nel 1986 dalla fantasia di James Cameron, all’epoca reduce dallo straordinario successo ottenuto con Terminator e in procinto di bissarlo con Aliens – Scontro finale. Fin dall’inizio, il cineasta e regista canadese aveva in mente proprio Kathryn Bigelow (che in seguito sarebbe diventata la sua terza moglie) per dirigere il film, e quando le presentò lo script la lasciò affascinata.
Il copione richiese anni di perfezionamento, per l’intenzione precisa di entrambi di renderlo un film ad alto contenuto politico e assieme un film capace di essere accessibile nella caratterizzazione dei personaggi e delle loro interazioni. La rivolta di Los Angeles del 1992, il caso O.J. Simpson, così come la natura tecnologica di massa degli anni Novanta, ebbero un impatto profondo sulla versione finale della sceneggiatura. Trenta milioni di budget per portarci nella Los Angeles sulla soglia del XXI secolo, in una realtà degradata, violentissima, una città al collasso dove non esistono pietà, empatia, ordine o speranza.
La Città degli Angeli diventò un set gigantesco per l’immagine di sé stessa, un mix tra un futuro plausibile e il suo presente reale, tra il Sunset Boulevard, le peggiori periferie, con tanto di concerto techno con diecimila persone, veri spacciatori e poliziotti sul set a guardarsi in cagnesco. Strange Days diventerà anche una sperimentazione continua a livello di regia, con l’utilizzo di diverse Stedicam, helmet camera da 35 mm multifunzionali, una videocamera sperimentale per diverse scene in soggettiva e tanto altro. Il risultato finale? Un capolavoro, uno dei film di fantascienza più belli, visionari e politicamente acuti di tutti i tempi.
Ma, soprattutto, Strange Days darà corpo alle paure, ai timori e ai lati oscuri degli anni Novanta, di quel decennio così ottimista che presentava anche delle criticità irrisolte. A guardarlo oggi, a trent’anni esatti dall’uscita in sala, il film della Bigelow però è stato anche una delle profezie più esatte, precise e innegabilmente indovinate della Storia del cinema. La Bigelow tutto questo lo mette dentro un mix magnifico tra neo-noir, thriller, fantascienza cyberpunk e distopica, che farà epoca. Soprattutto, quattro anni prima di Matrix e di Dark City, Strange Days affronta il tema della solitudine, della differenza tra immagine e realtà artificiale, dell’imminente tecnocrazia che ci dominerà.
Al centro Lenny Nero (Ralph Fiennes), ex poliziotto che spaccia chiavette di memoria dentro cui sono archiviate le esperienze di altre persone, da rivivere sotto forma di Realtà Virtuale. Questo grazie allo Squid, uno specifico lettore, richiestissimo sul mercato nero, che lui stesso usa per rivivere i momenti più belli vissuti con la sua ex Faith (Juliette Lewis), che l’ha lasciato per il losco producer discografico Philo Gant (Michael Wincott), con la quale sogna di tornare. Lo Squid ha creato anche un piccolo mercato di snuff movies. Uno di questi mostrerà a Lenny lo stupro e l’omicidio di Iris (Brigitte Bako), una prostituta di sua conoscenza.
Preoccupato per la presenza di un killer così spietato, assieme alla sua amica e guardia del corpo Mace Mason (Angela Bassett) e al detective Max Peltier (Tom Sizemore), Nero si metterà sulle tracce della verità. Quel viaggio lo porterà dentro le viscere infide di una città in preda al caos per l’omicidio del famoso rapper Jeriko One (Glenn Plummer), con due poliziotti corrotti come Steckler (Vincent D’Onofrio) ed Engelman (William Fichtner) sulle tracce sue e di Mace.
Ma chi è che ha ucciso Iris? E perché sembra sempre un passo avanti a loro? Domanda sbagliata. La vera domanda è: perché le persone comprano i ricordi più estremi di altre persone? Strange Days unisce più elementi per creare un’atmosfera apocalittica, da fine del mondo. Non è un caso che sia ambientato nelle ultime ore del 1999, alla fine del secolo, con l’incubo del millenium bug, l’incertezza, la sensazione che le cose forse non saranno così perfette come speriamo, che la Terza Via è un’illusione.
“Non è come la tv, solo meglio” spiega Lenny Nero. E in quello Squid, in quella penetrazione dello sguardo altrui, c’è la grande rivoluzione, la grande profezia di Strange Days, c’è ciò che siamo diventati oggi, con i social media, con tutto ciò che Internet ha tolto di personale all’esperienza, ora sottomessa ad una invasione della privacy, alla mercificazione per gli altri, poco importa che sia volontaria o meno. La memoria non vi inganni, era cominciato tutto proprio in quel periodo, anzi in quell’anno, con il sex tape di Pamela Anderson e Tommy Lee. La prima volta che uno Squid, per così dire, ci arrivò dritto in faccia, la prima volta che la vita, la semplice vita degli altri, bella o brutta che fosse, ci venisse offerta in pasto senza il consenso altrui.
Da lì a poco cominceranno i reality show, poi verrà il tempo dei social media che fanno ciò che Strange Days ci mostrava: rendere spettacolo tutto. La società dello spettacolo, ecco cosa Strange Days ci ha offerto, ci ha predetto, ci ha mostrato aprendo uno squarcio sul XXI secolo. La tecnologia, ci dice la Bigelow, fa sì che invece di cercare nel virtuale una fantasia dal reale, finiremo nel reale per sfuggire alla dittatura del virtuale. Il tutto connesso al consumismo, al culto dell’irreale che supera il reale, al possedere qualcosa che ti possiede, come sintetizzerà Chuck Palahniuk in Fight Club, ed essere pronti ad ogni cosa per ottenere questo, compreso modificare le relazioni umane e i sentimenti.
Ma attenzione, la Bigelow va oltre tale dimensione, oltre i quindici minuti di gloria predetti da Andy Warhol: ci mostra la strozzata volontà di rivalsa delle minoranze, collegandosi alla cultura hip hop, alla guerra tra East e West Coast, alla repressione del Sistema ovviamente. Quella americana, ma più ancora quella occidentale, è una civiltà in cui l’odio razziale, le diseguaglianze sociali, resteranno immutate, anzi aumenteranno. Rodney King era stato pestato ignominiosamente pochi anni prima, L.A. era diventata lo specchio di una guerra razziale in un’America bianca, razzista, classista. Qui c’è lo stesso scenario, la polizia è com’era nella realtà di quegli anni: corrotta, eversiva.
Sorpresa: dopo trent’anni, a guardare cosa combina la Ice sotto Donald Trump, a pensare a George Floyd, al Black Lives Matter, alla resurrezione del razzismo di destra col suo beniamino al potere, nulla è cambiato, anzi il clima è ancora più irrespirabile, ancora più osceno. Intanto vediamo Lenny Nero scoprire che Faith è coinvolta, che è il suo ex collega Max il killer; ma scopre anche che c’è speranza, che Mace, il personaggio femminile più sottovalutato di quel decennio cinematografico, lo ama, lo ha sempre amato. Kathryn Bigelow sovverte il genere, o parte di esso, l’erede di Humphrey Bogart è salvato da una donna negli anni in cui il femminismo trova una nuova ondata.
Ma intanto, intanto Strange Days ci mostrò cosa saremmo diventati, l’era della post-democrazia, della tecnocrazia individuale, la fine della società civile. E lo fece con una fotografia di Matthew F. Leonetti sensazionale, una colonna sonora che fece epoca, una regia pazzesca. Il risultato? Flop al botteghino, pure doloroso. Eppure, la sua essenza di atto finale degli anni Novanta, il suo condensare l’estetica da videoclip con una ricerca costante di un nuovo linguaggio, un nuovo dinamismo, ci donarono l’essenza di una sentenza cinematografica definitiva.
In Strange Days ancora oggi si può trovare tutto e il suo contrario, e tale certezza, tale risultato, diventerà fonte d’ispirazione per cinema, serie tv, graphic novel. A trent’anni di distanza, Strange Days, pur nella sua confezione un po’ vintage (tipica del cinema sci-fi di quegli anni), rimane l’esemplare più politico e centrato del genere. E anche il più ammaliante come atmosfera, per la capacità di dare profondità ai personaggi senza schiacciarli. In questo 2025, questo quarto di secolo da quel Capodanno lo possiamo giudicare come la perfetta trasposizione di ciò che Strange Days ci ha donato. Strange Days ci ha mostrato cosa saremmo diventati, semplicemente eravamo ancora troppo ottimisti per crederci.