
di Stefano Feltri (vanityfair.it, 9 ottobre 2025)
Immaginate di essere Gavin McInnes, il fondatore degli estremisti di destra americani noti come Proud Boys, che, al funerale dell’attivista trumpiano Charlie Kirk, ha detto: «Siamo in guerra». «Con i folli idioti della sinistra non si ragiona». Dopo l’assassinio di Kirk, durante un comizio all’Università dello Utah, «al peggio ci sarà una guerra civile».
Oppure immaginate di essere Alice Weidel, la leader di Alternativa per la Germania, che a fine agosto ha scoperto di essere in testa ai sondaggi con il 26 per cento dei consensi, mentre la grande coalizione dietro il cancelliere Friedrich Merz inizia a mostrare le sue fragilità. Insomma, immaginate di essere un leader estremista di destra in un momento nel quale tutto sembra sostenere la vostra ambizione: la fragile democrazia liberale è impantanata, il popolo vuole l’uomo forte (o la donna forte) al comando, i vostri nemici sembrano deboli, la possibilità di regolare i conti una volta per tutte è realistica.
Vedete il potere, quello assoluto e senza limitazioni, a portata di mano. Ma come si fa a raggiungerlo? Esiste un manuale dell’aspirante autocrate? La risposta è che sì, esiste. Lo storico Laurence Rees ha pubblicato un libro tradotto in Italia da Bompiani con il titolo La mente nazi. 12 moniti dalla storia. Ma forse avrebbe avuto maggior successo editoriale puntando a un altro tipo di pubblico e con un titolo da manuale operativo: “Dodici mosse che puoi copiare dai nazisti per conquistare il potere e sterminare i tuoi avversari”.
Le dodici mosse sono queste, e se vi sembrano familiari è perché molti stanno già seguendo questa traccia: 1) Diffondere le teorie del complotto. 2) Usare la contrapposizione noi/loro. 3) Esaltare l’eroismo dei vertici. 4) Corrompere la gioventù. 5) Accordarsi con le élite. 6) Minare i diritti umani. 7) Strumentalizzare la fede. 8) Esaltare i nemici per esaltare sé stessi. 9) Soffocare la resistenza. 10) Esacerbare il razzismo. 11) Uccidere senza sporcarsi le mani. 12) Alimentare la paura.
Donald Trump è già arrivato al punto 7: è partito negli anni Dieci con le teorie del complotto su Barack Obama nato in Kenya (falso). Sulla spaccatura tra le due Americhe ha costruito la sua fortuna. Con il pugno alzato dopo l’attentato del 13 luglio 2024 è diventato per i suoi un condottiero da venerare. L’attacco alle università per bloccare le idee progressiste e diffondere quelle conservatrici è in corso. Le élite sono già sue, i grandi capi delle Big Tech si devono umiliare in servili omaggi alla Casa Bianca trasmessi in tv. Siamo a «strumentalizzare la fede»: la morte di Charlie Kirk – una via di mezzo tra un influencer e un predicatore – ha permesso di rafforzare la componente religiosa: l’attivista 31enne che voleva imporre i suoi presunti valori cristiani agli altri è un martire di un nuovo culto che vede Trump come araldo di Cristo in un mondo di infedeli.
Il presidente americano non riesce proprio, però, ad applicare il punto 8: i suoi nemici li disprezza, non li esalta per dimostrare di saper battere avversari temibili. Ha perfino chiamato «figlio di puttana» il suo predecessore Joe Biden, mentre lo sbeffeggiava per il cancro alla prostata. Meglio così, perché il punto 8 è la premessa per la violenza assoluta: sterminare per non essere sterminati. Se il tuo nemico è potente e vuole distruggerti (ieri la Francia per i nazisti, oggi la Cina?), allora ogni attacco preventivo è lecito. Soltanto la fascinazione di Trump per i dittatori che guidano i rivali strategici degli Stati Uniti – Vladimir Putin in Russia e Xi Jinping in Cina – evita questa ulteriore evoluzione.
L’analogia con i nazisti sembra forzata? Leggete cosa scrive, tra l’altro, Laurence Rees: «La ricerca psicologica aiuta a comprendere il rapido successo di Hitler. Pur ignorandone le basi scientifiche, riusciva a sfruttare un meccanismo profondo e primitivo del cervello umano». Fomentando l’odio verso ebrei e bolscevichi, Hitler – così come oggi Trump e molti altri – «attivava l’amigdala, la regione cerebrale che elabora ansia, paura e rabbia. Emozioni forti, che si generano quasi all’istante, perché l’amigdala è progettata per farci reagire in fretta ai pericoli percepiti».
Nel manuale in 12 punti, costruire l’odio verso un gruppo specifico – ieri gli ebrei e le razze considerate inferiori, oggi le élite liberali descritte con gli stereotipi della propaganda antisemita e gli immigrati – serve sia a costruire narrazioni coerenti e assolutorie, sia a cementare un’identità di gruppo. Noi contro loro. Noi, la nazione (americana o italiana o tedesca) di terra e sangue; loro i senza terra, i senza identità, senza prospettive. Nell’esperienza nazista, questa è stata la premessa per la successiva fase di sterminio che altrimenti sarebbe stata impossibile. Fate voi le analogie con quello che sta succedendo a Gaza.
Molti, tra i moderati e a sinistra, dicono: ma non esageriamo, Trump fra tre anni andrà in pensione. Le rivolte anti-immigrati in Gran Bretagna guidate dall’attivista Tommy Robinson sono poca cosa. In Germania il sistema – partiti e istituzioni – non consentirà all’estrema destra di andare al potere o la normalizzerà, com’è successo in parte in Italia con i post-fascisti che sono diventati Fratelli d’Italia. Forse. O forse no.
Il libro di Laurence Rees invita a non sottovalutare anche i leader più improbabili: nessuno aveva colto il potenziale di quel pittore fallito nato in Austria dalla voce stridula, sempre agitato e sudato. E in un attimo, nel 1933, la Germania si è trovata con Adolf Hitler come Cancelliere. Così come gli Stati Uniti hanno visto un ex presentatore di reality show alla Casa Bianca e la Gran Bretagna potrebbe avere presto Nigel Farage come primo ministro, dopo la sua parentesi all’Isola dei Famosi per far dimenticare i disastri causati dalla Brexit che aveva propugnato e ottenuto.
Certo, è difficile prendere sul serio gli aspiranti autocrati finché non hanno salito i primi gradini indicati da Laurence Rees. Come si fa a vedere nel vicepresidente americano J.D. Vance un credibile campione del suprematismo bianco quando è sposato con una donna indiana, Usha Chilukuri? Anche Joseph Goebbels, il gran capo della propaganda nazista, aveva una fidanzata ebrea mentre sosteneva l’ascesa di Hitler ossessionato dalla necessità di epurare la Germania dagli ebrei. I nazisti all’inizio si chiamavano, appunto, nazionalsocialisti: c’erano estremisti nazionalisti ma c’erano anche socialisti, c’era chi considerava la proprietà privata il cuore dell’identità tedesca e chi voleva abolirla, c’erano gli omofobi e gli omosessuali dichiarati.
Ma l’incoerenza assoluta è un punto di forza dei progetti autoritari, non di debolezza. Lo spiega il filosofo Roberto Esposito in un altro libro utile, appena uscito per Einaudi: Il fascismo e noi. Un’interpretazione filosofica: «La macchina generativa fascista consiste nel suddividere la realtà in due parti opposte, immettendo l’una all’interno dell’altra, dopo averle modificate entrambe». Così i fascisti, intesi in senso filosofico e non soltanto come i fascisti italiani del Ventennio, possono «adoperare indifferentemente ideologie di destra e di sinistra scambiandone i contenuti in base ai propri fini».
Trump, nelle sue oscillazioni, ha proposto perfino tasse sui ricchi, tagli ai prezzi delle medicine, lotta alle Big Tech, così da lasciare gli avversari senza proposte autonome. Se è accaduto, può accadere di nuovo: è il senso del messaggio di Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz, per ammonirci. È accaduto, può accadere, sta accadendo.