di Giorgia Olivieri (huffingtonpost.it, 15 maggio 2025)
Se su X – l’ex Twitter, ora di proprietà di Elon Musk – si cerca l’account del rapper afroamericano Kanye West, in arte Ye, appare un avviso che informa l’utente della presenza di contenuti sensibili sul profilo. Utente avvisato, mezzo salvato.
Instancabile Musk. Mentre guida il Doge con la scimitarra in mano, licenziando, smantellando pezzi dell’amministrazione federale, sfidando i giudici che cercano di fermare atti che possono configurare abusi di potere, mentre al tempo stesso cerca di tamponare la crisi della sua Tesla e segue le multiformi attività spaziali, civili e militari di SpaceX, l’imprenditore venerdì sera, a mercati chiusi, ha reso noto di aver fuso la sua rete sociale X (ex Twitter) con la start up dell’Intelligenza Artificiale generativa xAI.
Martedì 7 gennaio Meta ha annunciato che abbandonerà i programmi di fact-checking di terze parti su Facebook, Instagram e Threads, rimpiazzando i suoi attuali moderatori con un modello simile alle criticate Community Notes di X, che consentono agli utenti di segnalare pubblicamente i contenuti che ritengono non corretti o fuorvianti. In un post pubblicato sul blog aziendale per annunciare la novità, il nuovo responsabile degli affari globali di Meta Joel Kaplan ha dichiarato che la decisione – che inizialmente interesserà solo gli Stati Uniti – è stata presa per consentire di discutere apertamente un maggior numero di argomenti sulle piattaforme della società.
di Francesco Cundari (linkiesta.it, 3 gennaio 2025)
Dinanzi alla seconda cerimonia d’insediamento di Donald Trump, unico presidente degli Stati Uniti che negli ultimi centotrent’anni sia stato eletto per un secondo mandato non consecutivo (il solo precedente risale all’Ottocento), una domanda s’impone immediatamente su tutte le altre: per quale motivo, anziché alla Casa Bianca, non si trova in galera? Il fatto che porre una simile domanda possa apparire oggi una battuta provocatoria o addirittura una dimostrazione di estremismo, ostilità preconcetta, accecamento ideologico, la dice lunga su quanto si sia spostato, in questi anni, il confine di ciò che consideriamo accettabile in democrazia.
Durante le Feste è stato un gioco divertente. I social media si sono sbizzarriti con immagini di Donald Trump al servizio di Elon Musk: gli porta bibite nello Studio Ovale, gli pulisce il parabrezza della macchina, gli lucida le scarpe. Il presidente eletto ha addirittura rincarato lo spasso quando, a una conferenza stampa a Mar-a-Lago, ha detto che Musk non può aspirare a diventare presidente perché non è nato negli Stati Uniti.
Per anni, negli Stati Uniti, guidare un’automobile elettrica del marchio Tesla voleva dire comunicare, anche non volendo, uno stereotipo specifico: quello della persona progressista e attivamente preoccupata per le sorti del pianeta, magari vegetariana, e felice di farlo sapere a tutti. Lo stesso Elon Musk, fondatore di Tesla, ha a lungo avuto una reputazione da ambientalista, «il geniale inventore che come il supereroe Iron Man affronta da solo la crisi climatica, una Tesla alla volta, contribuendo a forgiare un futuro di energia pulita e spingendo per l’introduzione di nuove tasse per ridurre l’uso dei combustibili fossili», come ha riassunto il giornalista Oliver Milman sul Guardian.
C’è un’aria pulita in Bluesky. Esattamente come quella che si respirava agli albori di Twitter, pensato e creato da Jack Dorsey, e che poi si è deteriorata, diventando quasi irrespirabile, dopo l’avvento di Elon Musk e la trasformazione in X. Per parafrasare un po’ una famosa canzone di Riccardo Cocciante, noi transfrontalieri dei social, abituati a spostarci da una piattaforma all’altra, stiamo vivendo una “celeste nostalgia”, ricordando uccellini, pensieri espressi in 140 caratteri e conversazioni (quasi) civili.
L’ultima campagna elettorale statunitense e la rielezione alla presidenza di Donald Trump hanno aperto un dibattito nei media americani intorno al fatto che il cosiddetto “potere del giornalismo” non esista più, o almeno sia molto diminuito. Le testate tradizionali, dai grandi quotidiani alle riviste più autorevoli alle maggiori televisioni, avevano tenuto in grande maggioranza posizioni critiche contro Trump o di vera opposizione.
di David Allegranti* (linkiesta.it, 6 novembre 2024)
L’arrivo di Donald Trump su Twitter è datato marzo 2009, quando Barack Obama è appena diventato presidente degli Stati Uniti. Rapidamente, diventa lo strumento preferito del miliardario americano. «La campagna presidenziale del 2016 potrebbe essere ricordata come quella in cui il populismo ha incontrato i social media digitali», scrivono Francisco Seoane Pérez et al. (2019, p. 13).
di Emanuele Capone (huffingtonpost.it, 5 agosto 2024)
In principio fu Barack Obama: il 44esimo presidente degli Stati Uniti, noto anche per essere particolarmente attivo on line e soprattutto sui social network, fu il primo per cui, il 18 maggio 2015, venne creato su Twitter l’account Potus, che poi è passato di mano in mano, prima a Donald Trump e in seguito a Joe Biden. Gli americani sono fissati con le sigle e le usano per più o meno tutto, anche grazie a una lingua che (diversamente dall’Italiano) si presta a questa abitudine.