Il caso politico attorno ad “Anatomia di una caduta”

(ilpost.it, 19 gennaio 2024)

Dallo scorso settembre Anatomia di una caduta, il film drammatico che ha vinto la Palma d’Oro a Cannes, è al centro di un dibattito relativo alla sua mancata candidatura come rappresentante francese all’Oscar per il miglior film straniero. Oltre a essere stato accolto in modo molto positivo dalla critica internazionale, che aveva lodato in particolare la qualità della sceneggiatura scritta da Justine Triet e dal marito e collega Arthur Harari, è stato infatti molto apprezzato anche dal pubblico nei Paesi in cui è uscito negli ultimi mesi, tra cui l’Italia, e a gennaio ha vinto come miglior film straniero ai Golden Globe e ai Critics’ Choice Awards, due premi americani cui si guarda molto per fare previsioni sui vincitori dei più importanti Oscar.

Per tutti questi motivi in Francia molti ritengono che Anatomia di una caduta sarebbe stato il film più adatto per rappresentare il Paese agli Oscar, cosa che però non è successa. Secondo una parte di addetti ai lavori la scelta di candidare un altro film, La passione di Dodin Bouffant, sarebbe stata motivata prevalentemente da ragioni politiche, e più nello specifico dalle critiche che la regista Justine Triet ha rivolto al presidente francese Emmanuel Macron.

Il sistema attraverso il quale l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences – l’ente che assegna i premi Oscar – seleziona ogni anno i cinque candidati nella categoria del miglior film internazionale (quello che fino al 2019 si chiamava “miglior film straniero”) è diverso rispetto a quello in vigore per la maggior parte delle altre categorie. Esiste una giuria ristretta all’interno dell’Academy che pre-seleziona i film che ogni nazione sceglie come propri rappresentanti: uno per ogni Paese. Questo meccanismo di designazione affidato ai singoli Paesi ha però mostrato negli anni diversi limiti e storture.

In Francia la commissione incaricata di selezionare il candidato francese al premio Oscar per il miglior film in lingua straniera è composta da sette membri indipendenti nominati dal ministro della Cultura su proposta del presidente del Centre national du cinéma et de l’image, una struttura posta sotto l’autorità del Ministero della Cultura ma che gode di autonomia finanziaria (gestisce cioè il proprio bilancio, le proprie risorse e le proprie spese). Il ministro, però, non interviene in alcun momento nel processo di scelta dei film. A settembre la commissione aveva votato per La passione di Dodin Bouffant del regista franco-vietnamita Trần Anh Hùng, incentrato sulla storia di un talentuoso cuoco gourmet francese e tratto da un romanzo svizzero del 1924.

Già allora la decisione della commissione aveva spiazzato moltissimi commentatori e persone dell’industria del cinema: pur avendo vinto il premio per la migliore regia al Festival di Cannes, La passione di Dodin Bouffant era infatti stato accolto molto tiepidamente dalle principali riviste di settore francesi, che lo avevano considerato un film prevedibile, smielato e pieno di cliché sulla tradizione gastronomica francese, realizzato unicamente per assecondare i gusti del pubblico statunitense. Su Télérama la critica cinematografica Marie Sauvion lo aveva definito «un prodotto scintillante e destinato all’esportazione che, però, sobbolle a fuoco molto lento», mentre il direttore del magazine di cultura pop Les Inrockuptibles lo aveva descritto come «un film antiquato e reazionario che si ispira goffamente al mito francese dell’alta cucina». La stessa Triet aveva espresso un certo disappunto per la decisione della commissione, pubblicando alcune storie Instagram in cui definiva La passione di Dodin Bouffant un film «noioso».

Anatomia di una caduta, interpretato tra gli altri da Sandra Hüller e Swann Arlaud, racconta un intricato caso giudiziario che ha come protagonista Sandra Voyter, una scrittrice accusata di aver ucciso il marito Samuel Maleski, trovato morto in circostanze misteriose. L’unico testimone dell’accaduto è Daniel, il figlio della coppia, che però non può fornire troppi dettagli ai giudici per via della sua cecità. Il film della Triet era reputato il più adeguato a rappresentare la Francia agli Oscar per vari motivi. È stato il film francese più visto all’estero durante lo scorso anno e ha ottenuto un consenso quasi trasversale negli Stati Uniti, il Paese che gli Oscar li organizza.

A dicembre l’ex presidente Barack Obama aveva inserito Anatomia di una caduta nella lista dei suoi film preferiti dell’anno, e aveva ricevuto recensioni favorevoli da riviste prestigiose come The New Yorker e The Atlantic. L’apprezzamento della critica statunitense è diventato ancora più esplicito la scorsa settimana, quando il film ha ottenuto il riconoscimento come miglior film straniero ai Golden Globe, dove la Triet è stata premiata anche per la migliore sceneggiatura, e ai Critics’ Choice Awards, i premi di cinema e tv assegnati ogni anno da centinaia di critici delle principali testate americane.

Da quando la commissione francese ha deciso di non candidare Anatomia di una caduta, hanno iniziato a circolare diverse teorie sui motivi che avrebbero portato a questa decisione. La più diffusa sostiene che la Triet sia stata esclusa dagli Oscar per via delle sue idee politiche, e in particolare per le parole pronunciate a maggio, durante il suo discorso di ringraziamento al Festival di Cannes. In quell’occasione aveva infatti espresso opinioni critiche nei confronti del governo francese, prendendo posizione contro la contestata riforma delle pensioni voluta dal presidente Macron, approvata nell’aprile dello scorso anno senza passare per il voto parlamentare e fortemente avversata dall’opinione pubblica. A Cannes Justine Triet aveva inoltre definito il governo francese «neoliberista», accusandolo di promuovere la «mercificazione della cultura» e di voler «fare a pezzi l’eccezione culturale» del cinema francese.

Con l’espressione «eccezione culturale» la Triet si riferiva al fatto che, in Francia, il cinema d’autore viene sovvenzionato in parte dallo Stato, consentendo ai registi emergenti di lavorare con maggiore libertà creativa e svincolandoli dalla necessità di perseguire il successo commerciale. La stessa Triet ha ricordato in più occasioni come, senza questo modello di finanziamento, molto probabilmente non avrebbe mai iniziato a fare la regista. Non si tratta di una circostanza eccezionale: i progetti cinematografici vengono finanziati dallo Stato in molti Paesi. Questo perché i film non sono considerati dei semplici beni di consumo tra i tanti, ma dei prodotti artistici che, per la loro peculiare natura, non dovrebbero dipendere dalle logiche di mercato.

Da anni il modello di finanziamento francese viene criticato dagli esponenti di alcuni partiti politici, soprattutto di destra. La loro tesi è che i film d’autore vengono realizzati a spese dei contribuenti e, di conseguenza, lo Stato dovrebbe smettere di sovvenzionarli. Dopo il discorso della Triet, anche alcune personalità vicine al presidente Macron avevano espresso posizioni simili. «Forse è ora di smetterla di distribuire così tanti fondi a chi non ha consapevolezza di quanto pesino sui contribuenti», aveva detto per esempio il deputato macronista Guillaume Kasbarian.

In realtà si tratta di una lettura semplicistica e molto fuorviante. In Francia il principale ente pubblico a sostegno del cinema è il Centre national du cinéma et de l’image: una parte delle risorse di cui dispone derivano effettivamente da tasse pagate dai cittadini francesi, e in particolare dalla cosiddetta Taxe spéciale additionnelle (Imposta addizionale speciale). In sostanza, quando in Francia si acquista un biglietto del cinema, il 10,72 per cento del prezzo finisce nelle casse del Centre national du cinéma et de l’image, a prescindere dal fatto che venga programmato un film francese o prodotto all’estero.

Tuttavia, a eccezione della Taxe spéciale additionnelle, la maggior parte delle entrate del Centre national du cinéma et de l’image non proviene direttamente dai contribuenti, ma dalle imposte pagate da alcune aziende del settore. La principale fonte di introiti è rappresentata dall’imposta pagata ogni anno dagli editori e dai distributori di servizi televisivi, che viene calcolata sulla base degli incassi ottenuti in pubblicità e finisce direttamente nelle casse del Centre national du cinéma et de l’image. Un’altra tassa che permette all’ente di ottenere liquidità è quella sui ricavi legati alla vendita di dvd, blu-ray o servizi di streaming in abbonamento. Di conseguenza, come ha scritto Olivier Bénis su Radiofrance, la verità è che il sistema francese «consente che il cinema sia finanziato principalmente… dal cinema».

Negli ultimi mesi la situazione sembra essersi distesa, anche perché Macron si è congratulato con Triet subito dopo la sua vittoria ai Golden Globe. Peraltro, nonostante la mancata nomination come miglior film straniero, Anatomia di una caduta potrebbe comunque vincere un Oscar: i premi ottenuti durante i Golden Globe e i Critics’ Choice Awards ne hanno aumentato ulteriormente la popolarità e, secondo la stampa di settore, otterrà una nomination al premio per il miglior film (un’opera non statunitense non ottiene questo riconoscimento dal 2020, quando fu vinto da Parasite, diretto dal regista coreano Bong Joon-ho). Inoltre, Justine Triet è considerata una delle papabili vincitrici dell’Oscar per la miglior sceneggiatura originale.