Panem et circenses: i Talebani puntano tutto sul cricket

di Edoardo Giribaldi (huffingtonpost.it, 28 febbraio 2024)

A partire dal loro ritorno al potere, datato agosto 2021, i Talebani hanno esplicitato l’intenzione di trasformare l’Afghanistan in una potenza mondiale del cricket, con progetti ambiziosi per la costruzione di stadi all’avanguardia, capaci e rilevanti al punto di ospitare prestigiose partite internazionali. Il quadro dipinto dall’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) dell’Afghanistan dal ritorno dei Talebani è drammatico: 28,3 milioni di persone, corrispondenti a due terzi della popolazione afghana, avevano, nel 2023, imminente necessità di assistenza umanitaria.

Afp

Uno dei pochi comparti a non essere stato, apparentemente, flagellato dalla crisi generale è quello sportivo, e, nello specifico, proprio la Nazionale maschile di cricket, che ha ben figurato alla Coppa del mondo recentemente conclusasi. Più in generale, le accademie locali, finanziate privatamente, hanno registrato un’impennata di iscrizioni. Tale attrattiva si può spiegare, parzialmente, nella radicata popolarità di questo sport all’interno delle comunità etniche pashtun, dalle quali i Talebani hanno tradizionalmente attinto un deciso consenso. Tuttavia, la valenza del cricket in Afghanistan tracima al di là delle linee etniche, e assume tratti propagandistici più ampi e generali. Panem et circenses, insomma, ma se il pane tristemente manca, allora si punta tutto sul “circo”.

Lo scorso ottobre Al Jazeera descriveva come «rare» le manifestazioni gioiose dei tifosi locali che si erano riversati nelle strade di Kabul a festeggiare la sorprendente vittoria della Nazionale di cricket contro il blasonato Pakistan. Fuochi d’artificio e spari celebrativi, pienamente sostenuti e condivisi dai Talebani: pochi giorni dopo la risalita al potere Anas Haqqani, l’influente fratello minore del ministro degli Interni, Sirajuddin, aveva visitato il Consiglio di cricket afghano per dimostrare il sostegno del nuovo governo. Non era inusuale vedere soldati Talebani e civili seduti fianco a fianco nei parchi locali, radunati intorno a giganteschi schermi per applaudire la loro squadra trionfare contro – oltre al Pakistan – altre compagini quotate come Inghilterra, Sri Lanka ed Olanda. «La gente non ha nulla di cui godere in Afghanistan, ma il cricket ci dà felicità», aveva sintetizzato un cittadino locale, sentito dal Washington Post.

C’è chi, una carriera nel cricket, la intraprende spinto dalla “disperazione”, e vedendo in quell’oasi che sembra essere lo sport una via d’uscita dalla dilagante povertà locale. Tra i primi giocatori di cricket afghani c’era Allah Dad Noori, capitano della squadra Nazionale alla fine degli anni Novanta, durante il primo periodo con i Talebani al potere. Noori, sempre al Washington Post, ha raccontato di avere temuto una possibile censura dello sport. «Mio cognato, che in seguito ha trascorso un periodo a Guantanamo, aveva già parlato ai Talebani di me», ha ricordato Noori. «Aveva detto loro: “Quest’uomo è il più grande giocatore di cricket, e se catturate Kabul dovreste approvare il cricket”».

Un cognato persuasivo, il fatto che i pantaloni lunghi contemplati per i giocatori sollevassero meno preoccupazioni in tema religioso rispetto a quelli più corti dei calciatori e la parallela ascesa del cricket nel vicino Pakistan furono decisivi nella promozione del cricket a livello locale. Coadiuvata anche da chi quello sport, nel XVI secolo, l’aveva inventato, e cioè gli inglesi. Nello specifico, l’uomo d’affari britannico Stuart Bentham, uno dei primi stranieri ad assistere a una partita di cricket afghana, tenutasi nello stesso stadio di Kabul che i Talebani utilizzavano per una pratica tanto triste quanto attuale: le esecuzioni pubbliche.

Dall’uso che ne fanno in Afghanistan, infatti, sembrerebbe che i Talebani non siano particolarmente avvezzi a sfruttare gli stadi locali per la loro funzione principale, ovvero ospitare partite, regalare un’ora e mezza o poco più d’intrattenimento ai propri cittadini. Questo lunedì, un uomo condannato per omicidio è stato giustiziato, sotto una fitta nevicata, nello stadio della città di Shibirghan, capoluogo della provincia settentrionale di Jawzjan, sotto gli occhi di migliaia di persone. Si tratta della terza esecuzione pubblica nel giro degli ultimi cinque giorni, e della quinta da quando i Talebani sono tornati a Kabul. Le Nazioni Unite, per mezzo del loro portavoce Stephane Dujarric, hanno definito «estremamente atroce» la natura di tali atti, auspicando un’immediata cessazione delle esecuzioni.

Questa è solo la prima delle tante controversie che adombrano un processo riconducibile alle operazioni di sportwashing già viste, ad esempio, in Arabia Saudita. Un’altra, che merita un discorso ed una questione a parte, risiede nella massiccia e continua repressione perpetrata dai Talebani nei confronti delle donne afghane, che trova ampi sbocchi anche nello sport. Una delle prime azioni intraprese dal nuovo governo nell’agosto del 2021 era stata quella di vietare la pratica di qualsiasi tipo di sport alle donne. L’importanza della squadra afghana di cricket femminile, considerabile al pari di quella maschile per i risultati ottenuti, suscitò indignazione e domande scomode dall’estero.

La Nazionale australiana annunciò un boicottaggio per protestare contro la repressione talebana. Boicottaggio poi revocato in occasione della Coppa del Mondo, suscitando, per testimonianza di Weeda Omari, esule afghana, in precedenza impiegata come coordinatrice dello sport femminile per la municipalità di Kabul, delusione e pianti da parte delle giocatrici. «Le loro famiglie le accusano di essersi attirate le ire dei Talebani diventando atlete, e ora vengono spinte a sposarsi», ha raccontato Omari.

Infine, il cricket è anche visto dai Talebani come un rilevante snodo per uscire dall’isolamento e dalle pesanti sanzioni cui l’Afghanistan è sottoposto a livello internazionale. Di recente, un portavoce del Consiglio del cricket locale ha dichiarato di aver ricevuto circa sedici milioni di dollari dall’International Cricket Council (Icc), l’organo di governo mondiale dello sport con sede a Dubai.

L’economia afghana arranca, ma ciò non sembra intaccare i sogni di gloria declinati al cricket dei Talebani, la cui leadership sta lavorando per raccogliere finanziamenti privati al fine di costruire nuovi impianti. La cui dimensione, poi, è direttamente proporzionale alla generale ambizione. Di fatto, la preoccupazione principale del governo non sembra essere il fine ultimo di tali costruzioni (meno esecuzioni, più partite) ma, come affermato da Hamdullah Nomani, ministro talebano dello Sviluppo urbano, il timore che «non vi sia abbastanza terreno» per costruirli.