Umberto Bossi, cantante e poeta rilanciato dai social

di Francesco Moscatelli (lastampa.it, 19 giugno 2023)

Che Umberto Bossi, prima di iscriversi alla facoltà di Medicina (che frequentò a Pavia, pur non terminando il percorso di studi), avesse tentato la carriera del cantautore, con lo pseudonimo di “Donato”, è cosa nota: nel 1961, quando aveva vent’anni, partecipò al Festival di Castrocaro e pubblicò un 45 giri con i brani Ebbro (un boogie-woogie) e Sconforto (un pezzo rock lento) scritti insieme al maestro Mazzucchelli. Disco praticamente introvabile che, alcuni anni fa, era andato anche all’asta a una cifra spropositata: 250mila euro o giù di lì.

Da qualche giorno, però, è riemersa un’altra passione artistica giovanile del Senatur, quella per le parole. Su un blog (in un’apposita sezione intitolata «l’angolo della poesia») c’è una selezione di componimenti scritti da Bossi a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, prima cioè di fondare la Lega Nord e diventare una delle figure politiche principali della Seconda Repubblica. Si tratta di testi in dialetto lumbard dedicati a temi come l’amore e le donne, ma anche l’impegno sociale e sindacale (a quei tempi Bossi militava nella sinistra varesina e per un paio d’anni fu anche iscritto alla sezione di Samarate del Pci) e l’ambiente, disponibili con accanto la traduzione in Italiano.

Figlio dell’operaio tessibile Ambrogio Bossi e della portinaia Ida Valentina Mauri, il Senatur è sempre stato legato al mondo delle cascine e alla vita dei contadini in mezzo ai quali era cresciuto. In Tera (Terra) parla ad esempio della distruzione della natura, che era l’essenza del mondo agricolo, e del degrado della società moderna: «Verde una volta e piena di parole, Terra, che hai ascoltato squittire la talpa e bestemmiare le rose. Ho visto le sirene degli stabilimenti diventare siringhe…».

In Ul Lach Mort (Il Lago morto) Bossi si dimostra invece un ambientalista ante litteram: «Hanno ucciso il lago, la nostra acqua…». Nello Sciopero in dul Baset (Sciopero alla Bassetti), invece, il fondatore del Carroccio ricorda la nonna Celeste, socialista e sindacalista, che, scoperta dai fascisti, venne torturata fino a fratturarle entrambe le ginocchia: «Han preso anche la Celeste, ed è già arrivato Angiolino…».

Non mancano nemmeno due poesie intitolate Canzone per la Malpensa. Nella prima si possono già ravvisare quelli che saranno i cavalli di battaglia del Bossi politico: «Sacri sono i boschi. E i prati. E la nostra acqua. E il vento. E la neve. Sacre sono le radici. E la nostra lingua. Neppure tutte le chiese del mondo, neppure il papa, valgono come un rametto di nocciolo, o un cinguettio d’uccello. O un ruscello d’acqua fredda come una biscia». La seconda, invece, si conclude con le parole: «Uccidono la vita per vivere loro, con i loro stupidi aeroplani, convinti che avremo sempre paura, che saremo sempre scoppiati».