Le incriminazioni fanno bene a Trump?

(ilpost.it, 14 agosto 2023)

Nel giro di pochi mesi l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stato incriminato a seguito di tre diverse indagini, tutte riguardanti reati piuttosto gravi. Nei prossimi giorni, secondo i giornali americani, potrebbe ricevere una quarta incriminazione in Georgia per reati legati al tentativo di sovvertire il risultato delle elezioni presidenziali del 2020. Nonostante questo, negli ultimi mesi la sua popolarità di fronte agli elettori Repubblicani è aumentata considerevolmente.

Ph. Mariam Zuhaib / Ap

Anzi: molti analisti pensano che la popolarità di Trump non sia aumentata nonostante le incriminazioni, ma grazie alle incriminazioni. È un fenomeno che hanno notato vari analisti e politologi americani, e che è stato analizzato da un lungo articolo del New York Times: in concomitanza con gli annunci delle tre incriminazioni, e in particolare la prima, i sondaggi di Trump sono migliorati, così come sono aumentate le donazioni dei suoi sostenitori ed è generalmente diventata più favorevole la copertura mediatica delle tv e dei giornali conservatori.

Trump finora ha ricevuto tre incriminazioni, tutte quest’anno: il 30 marzo per il presunto pagamento di 130mila dollari all’attrice di film porno Stormy Daniels, che sarebbe servito a convincerla a non divulgare un rapporto sessuale avuto con lui una decina di anni prima; il 9 giugno per aver conservato nella propria villa di Mar-a-Lago alcuni documenti governativi riservati risalenti al suo periodo da presidente, che contenevano informazioni su armi nucleari, piani militari e di intelligence; e infine il 1° agosto per cospirazione contro gli Stati Uniti in relazione ai fatti che portarono all’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. Trump rischia poi di essere incriminato una quarta volta nei prossimi giorni per aver cercato di sovvertire l’esito delle elezioni presidenziali del 2020 nello Stato della Georgia.

Anche soltanto una di queste incriminazioni sarebbe sufficiente per porre fine alla carriera di molti politici. Al contrario, sembra che la popolarità di Trump tra il suo elettorato ne abbia giovato. Prima delle incriminazioni la campagna elettorale di Trump per le primarie Repubblicane e in ultima istanza per le presidenziali sembrava affaticata. Trump veniva da due grosse sconfitte (quelle alle presidenziali del 2020 e alle elezioni di metà mandato del 2022) e tra i suoi elettori c’era una certa stanchezza nella disponibilità a sostenerlo. Poi, il 18 marzo di quest’anno, Trump ha pubblicato sul suo social network Truth un messaggio in cui annunciava che stava per essere messo in stato d’arresto e incitava i suoi sostenitori: «Riprendiamoci la nostra nazione!». Quel messaggio ha suscitato enorme attenzione e sgomento tra loro e ha contribuito a riportare Trump al centro dell’attenzione.

Trump ha sempre coltivato una retorica anti-establishment e anche quando era presidente ha sistematicamente cercato di presentarsi come la “vittima” delle trame di un presunto “deep State”, un concetto che potrebbe essere tradotto con la locuzione italiana “poteri forti”. Per questo, quando a fine marzo Trump è stato incriminato per la prima volta ed è stato costretto a presentarsi in tribunale a New York per dichiararsi non colpevole, agli occhi di molti elettori è stata la prova che Trump era effettivamente perseguitato dall’establishment.

Il dato più evidente e concreto per capire quanto le incriminazioni abbiano riportato l’attenzione su Trump riguarda probabilmente le donazioni fatte alla sua campagna elettorale. Nei primi tre mesi del 2023 Trump aveva ricevuto, in tutto, 12 milioni di dollari di donazioni. Poi il 30 marzo è arrivata la prima incriminazione, quella per il caso di Stormy Daniels, e Trump ha ricevuto 13 milioni in donazioni in appena 7 giorni. Anche la seconda incriminazione ha portato a un aumento delle donazioni a favore di Trump, benché non altrettanto intenso.

Dopo la prima incriminazione di fine marzo, i sondaggi di Trump hanno cominciato a migliorare. A metà febbraio Trump e il suo principale sfidante alle primarie Repubblicane, il governatore della Florida Ron DeSantis, erano praticamente alla pari con un distacco di appena 2 punti percentuali (41 contro 39 per cento). Oggi Trump gode di un vantaggio di 37 punti percentuali. Questo comunque dipende molto anche dalle carenze di DeSantis, che negli scorsi mesi si è dimostrato un candidato estremamente più debole delle aspettative. Anche a livello nazionale i sondaggi di Trump hanno cominciato a migliorare in maniera lieve ma percepibile a partire dalla fine di marzo. Se si votasse oggi per le presidenziali, Joe Biden e Donald Trump sarebbero testa a testa. Trump è sembrato piuttosto consapevole di questa situazione e di recente ha detto: «Ho bisogno di un’altra incriminazione per vincere le elezioni!».

Il New York Times ha analizzato anche le apparizioni mediatiche di Trump prima e dopo le incriminazioni: negli scorsi due anni (e soprattutto dopo il risultato deludente delle elezioni di metà mandato) l’entusiasmo di molti media conservatori nei confronti dell’ex presidente si era raffreddato. Sulla tv Fox News, per esempio, all’inizio dell’anno la copertura era molto più favorevole per DeSantis che per Trump. Il New York Post, che come Fox News appartiene al miliardario australiano Rupert Murdoch, aveva definito DeSantis “DeFuture”, come a dire che il futuro del Partito Repubblicano era il governatore della Florida. Dopo le incriminazioni, Fox News e gli altri media conservatori si sono di fatto sentiti in dovere di difendere Trump, e l’argomento dell’ex presidente “vittima delle trame dell’establishment” è diventato così potente che in poco tempo Trump è tornato a dominare nuovamente la copertura politica dei media conservatori.

Alcuni analisti attribuiscono quello che sta succedendo a una peculiare personalizzazione del fenomeno noto come “rally ’round the flag”: quello che fa sì che nei momenti di difficoltà una comunità si “stringa attorno alla bandiera” e sostenga il proprio leader indipendentemente dalle ragioni di scontento preesistenti. Succede, per esempio, negli Stati in guerra. Con Donald Trump questo fenomeno si sarebbe applicato direttamente alla sua persona. Secondo i sondaggi l’86% dei Repubblicani ritiene che le incriminazioni abbiano almeno in parte un movente politico, e che siano un tentativo d’impedire a Trump di partecipare alla campagna elettorale. Molti elettori Repubblicani, inoltre, hanno vissuto le incriminazioni come un attacco molto personale: più di metà dei Repubblicani – e il 77% dei Repubblicani che si definiscono sostenitori di Trump – ritiene che le incriminazioni siano un attacco diretto alle persone come loro, che sono rappresentate da Donald Trump e dal suo messaggio politico.

Per molti elettori di Trump le incriminazioni sono diventate la conferma del fatto che è lui il candidato da sostenere. «Tutte le volte che hai un branco di cani alle calcagna e sei pronto ad affrontarli e combattere, hai il mio voto», ha detto al New York Times un’elettrice di Trump della Florida. «DeSantis non ha un branco di cani alle calcagna, e probabilmente significa che qualcuno gli sta dando il suo sostegno, oppure che ormai si è venduto. Trump non si è venduto». Trump e il suo team, inoltre, sono stati eccezionalmente abili a trasformare ogni incriminazione in un grande evento mediatico: ogni volta che Trump era costretto a presentarsi in tribunale per essere messo in stato di fermo, dichiararsi innocente e poi essere rilasciato (una pratica comune a migliaia di persone indagate negli Stati Uniti), faceva in modo non soltanto che fossero presenti decine di giornalisti, ma gestiva mediaticamente l’evento in maniera tale che, per esempio, le televisioni potessero riprendere quello che succedeva da ogni angolazione, perfino dall’interno della sua auto, e che potessero ottenere dichiarazioni e interviste.

Non è chiaro se questo fenomeno di rinnovato sostegno nei confronti di Trump sia passeggero, né se a un certo punto, con l’inizio delle udienze processuali, la gravità dei reati di cui è accusato comincerà a diventare chiara anche al suo elettorato. Bisogna inoltre considerare che mancano ancora molti mesi sia alle primarie Repubblicane, che cominciano a gennaio del 2024, sia alle elezioni presidenziali, che sono previste per il 5 novembre del 2024. Le tendenze e gli entusiasmi di questi mesi, per allora, potrebbero essersi esaurite o modificate pesantemente.