La moda dei modelli queer non è solo una moda

(ilpost.it, 28 ottobre 2019)

Nella moda di oggi il confine tra gli abiti maschili e femminili è sempre più labile: da qualche anno molte aziende li presentano insieme nella stessa sfilata, altre propongono vestiti che possono essere indossati sia da uomini sia da donne, mentre alcuni dei modelli più famosi del momento sono queer, cioè non sono eterosessuali (attratti sessualmente da un partner del sesso opposto) o cisgender (la cui identità di genere coincide con il sesso con cui sono nati).

Ph. Bryan Huynh / Paper
Ph. Bryan Huynh / Paper

Tra loro, segnala il sito di moda Business of Fashion, ci sono per esempio Teddy Quinlivan, che ha sfilato per Prada, Dior, Gucci ed è la prima modella transgender protagonista di una campagna pubblicitaria per Chanel Beauty; Hunter Schafer, attrice della serie tv Euphoria, che ha lavorato per Miu Miu e Dior; Indya Moore, protagonista della serie tv Pose e di campagne pubblicitarie di Louis Vuitton; Nathan Westling, che dopo aver iniziato a sfilare come donna lo ha fatto come uomo, per la prima volta nella sfilata maschile di Prada a Shanghai nel giugno del 2019; Krow Kian, che ha chiuso la sfilata di Louis Vuitton ed è apparso sulle copertine di GQ Spagna, Vogue Korea e Vogue Ukraine; Ruth Bell e Selena Forrest, insieme in una campagna pubblicitaria di Dior; Finn Buchanan, che ha aperto l’ultima sfilata di haute couture (l’alta moda francese) di Maison Margiela; e Otto Zinsou e Oslo Grace, tra i preferiti di Gucci. Nicolas Ghesquière, direttore creativo di Louis Vuitton, ha presentato la collezione Primavera/Estate 2020 davanti a un video della cantante transgender Sophie, mentre Kenzo ha fatto sfilare Olso Grace vestito sia da donna sia da uomo.

Secondo il motore di ricerca di moda Tagwalk, i modelli che si dichiarano queer sono comparsi nel 25 per cento delle 68 più importanti sfilate della stagione Primavera/Estate 2019 (presentate a Londra, New York, Milano e Parigi tra settembre e ottobre), rispetto al 10 per cento delle stagioni precedenti, calcolate a partire dal 2016. Come ha spiegato Samuel Ellis Scheinman, direttore del casting per marchi come Louis Vuitton Uomo e Saint Laurent, sempre più modelli si dichiarano queer senza temere ripercussioni, anzi in molti casi è una caratteristica che rende i loro corpi e la loro presenza in passerella più preziosa e in grado di rispondere meglio alle esigenze della moda contemporanea.

Business of Fashion ha provato a spiegare il motivo di questo cambiamento rispetto a un passato non troppo lontano in cui essere queer veniva nascosto. In parte è una reazione dell’industria della moda americana, tradizionalmente liberal, alla presidenza di Donald Trump, maschilista e irrispettoso verso i diritti delle persone Lgbtq (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer). Sempre Scheinman spiega che «abbiamo una opportunità e una responsabilità di usare la nostra piattaforma nella moda […] per dare risalto a questa comunità». È qualcosa di paragonabile alla scelta antirazzista (oltre che semplicemente artistica) di Pierpaolo Piccioli, direttore creativo di Valentino, che a gennaio aveva scelto 40 modelle nere su 65 per presentare la sua sfilata di haute couture (l’alta moda francese), che aveva fatto aprire sempre da una modella nera, Adut Akech.

Dietro la richiesta di modelli queer c’è anche un aspetto economico. I clienti della moda di lusso sono sempre più i giovani, che condividono una maggiore attenzione alla diversità e all’inclusione e che si identificano sempre più spesso nella fluidità di genere: indossano abiti del sesso opposto, non si riconoscono nei comportamenti tradizionali di un genere o sono non binari (cioè si collocano all’interno dello spettro ai cui estremi si trovano il maschile e il femminile). Questo nuovo sistema di valori ha fatto la fortuna di marchi che ne sono genuinamente portatori, come Gucci, e spinto altri a interessarsene.

Il rovescio della medaglia è che le aziende vogliono capitalizzare sui modelli queer. Quinlivan, che nel 2015 venne scoperta da Nicolas Ghesquière, direttore creativo di Louis Vuitton Donna, e dichiarò di essere transgender nel 2017 per poi sfilare con Louis Vuitton, Maison Margiela, Dior e Saint Laurent, ha detto che le aziende «possono aver sfruttato il mio essere transgender». Alcune, ha raccontato, le offrivano una campagna pubblicitaria purché facesse coming out, cioè dichiarasse di essere transgender, così da associare la notizia al prodotto. Molti modelli queer si lamentano che le aziende si ricordano di loro soltanto in vista del Pride (il mese di eventi che celebra la comunità Lgbtq in tutto il mondo) ma si dimenticano di loro nel resto dell’anno.

Il rischio di essere strumentalizzati non riguarda solo i modelli queer ma tutti quelli che si discostano dai canoni di bellezza tradizionale, e che diventano una facile occasione per le aziende di posizionarsi come aperte e inclusive. Per esempio si parlò a lungo del caso di Winnie Harlow, una modella affetta da vitiligine (una malattia della pelle), richiestissima dalle riviste e dai marchi di moda (ha sfilato per esempio per Tommy Hilfiger, Marc Jacobs e Victoria Secrets), e di quello di Madeline Stuart, la più famosa modella con la sindrome di Down; ora riguarda sempre di più il mondo cosiddetto del plus-size, con modelle come Ashley Graham, Jessica Leahy, Danika Brysha e Barbie Ferreira, un’altra protagonista della serie tv Euphoria.

Un anno fa Cody Chandler fondò New Pandemics, una agenzia di modelli Lgbtq: l’idea era nell’aria e se non lui l’avrebbe avuta qualcun altro, ha spiegato. Secondo Chandler la sua agenzia «è come un faro» per le aziende che vogliono assumere modelli queer, e allo stesso tempo «non permette più di avere una scusa per non usarli». Chandler definisce i suoi modelli “artisti”, perché fanno molte altre cose: Cole Powell è anche un attore e reciterà nel revival di Broadway di West Side Story, Cameron Lee Phan ha posato per Prada ma è anche un fotografo. New Pandemics lavora con piccoli marchi indipendenti come Eckhaus Latta e Vaquera, e grandi firme come Gucci, Prada, Nike, Calvin Klein e Ralph Lauren. Anche secondo Chandler spesso i grandi marchi usano i modelli in modo strumentale, ma è anche convinto che contribuiscano a dare loro visibilità e, indipendentemente dalle intenzioni, a combattere la marginalizzazione che hanno sempre subìto.