Neo, ex, post Ferragnez

di Guia Soncini (linkiesta.it, 15 settembre 2023)

«Da sempre noi donne ci vergogniamo del nostro corpo». Al minuto ventuno, Chiara Ferragni va dallo psicanalista di scena a spiegargli che mettersi a Sanremo un vestito con sopra un disegno di tette che lo faccia sembrare trasparente non è esibizionismo, non è consapevolezza di cosa funzioni nella società dello spettacolo, non è vocazione alla fotogenia: è una presa di posizione femminista. È in quel momento che su una parete di casa mia si forma una piccola crepa causata dalle testate che do durante la visione della nuova ora di The Ferragnez.

Prime Video

La tanto attesa puntata sanremese della saga tamarra più amata dagli italiani, quella le cui riprese erano state parzialmente differite per la piccola crisi seguita al marito della Ferragni che aveva baciato uno sul palco del Festival condotto dalla moglie. Crisi che ovviamente è diventata parte (troppo piccola ma interessante) della puntata in questione, da ieri su Prime: la società dello spettacolo è come il maiale, non si butta niente. Ma anche: la società dello spettacolo è come i culti religiosi, non prevede originalità di pensiero.

Nessuno dirà a Chiara Ferragni che non è vero che da sempre (da sempre contando da quando?) le donne (quali donne? Le braccianti? Le soubrette? Le principesse? Le mendicanti?) si vergognino del loro corpo (intendiamo che ne hanno pudore o che lo ritengono esteticamente migliorabile?). Nessuno glielo dirà perché questo tipo di prodotto televisivo non funziona integrando un contraddittorio (e meno male: già in tv ce n’è troppo, di contraddittorio), e nessuno glielo dirà perché Chiara Ferragni è come sempre la regina della medietà, la versione di successo di tutte le disgraziate che accendono la telecamera del telefono e ci spiegano quant’è difficile essere donne con la sponsorizzazione di qualche reggiseno col ferretto, si tagliano la frangia in solidarietà alle iraniane con la sponsorizzazione di qualche prodotto per le doppie punte, cianciano di privilegio del maschio bianco mentre ci piazzano un codice sconto.

La cosa più somigliante al ferragnismo che si veda in questi giorni sui social è un’idea semplice e perfetta. Un’inutile mostra romana fatta fotografando cento e spicci tizie semifamose, con la copertura culturale che ti dà l’essere un progetto di beneficenza (per Terre des Hommes). Copincollo da articoli a loro volta copincollati dal comunicato stampa: «L’intento è di rendere più consapevoli bambine e ragazze dei loro diritti, ispirarle a coltivare i propri talenti, per essere davvero protagoniste del loro futuro». Ma tu pensa. Io credevo che l’intento fosse fare una bella foto in bianchennero a Tizia Con Velleità Engagé, mettergliela gigante in mostra facendola sentire figa e importante, e garantirsi così che Tizia instagrammi abbondantemente la mostra facendola divenire la mostra fotografica con più copertura social d’Italia. Per garantire che Tizia si senta lusingata e instagrammi con zelante voluttà, la mostra s’intitola Straordinarie.

Ma per carità, non è che siamo vanitose e ci piace essere ben fotografate o mettere vestiti di Dior, macché: è che vogliamo rendere consapevoli bambine e ragazze dei loro diritti, il principale dei quali è evidentemente una telecamera alla quale dire la loro. D’altra parte se stessimo a casa a studiare saremmo meno instagrammabili. In una società in cui non fossero stramorti il dibattito pubblico e la civiltà della conversazione, sarebbe bello interrogarsi su quel «Da sempre noi donne ci vergogniamo del nostro corpo, non riusciamo a vivere liberamente nel nostro corpo». Sarebbe bello analizzare i non detti assai più veri di questo assai posticcio detto.

Da sempre noi donne sappiamo che commercializzare le proprie foto in mutande d’acrilico (o, prima che esistessero l’acrilico e Instagram, posare nude per i pittori) è una forma di guadagno, una forma d’esibizionismo, entrambe le cose. La libertà c’entra pochino, a meno che non s’intenda libertà commerciale. Da sempre noi donne siamo consapevoli che il nostro corpo è una merce di scambio. Che, se esso ben figura, può essere indispensabile a procurarci sostentamento, sia esso in termini di mercimonio sessuale, o di procurarci un marito che ci mantenga, o in casi più elitari di farci diventare gente che con quel corpo ci fa la moda, il cinema, la televisione (tre cose che fanno anche gli uomini – nel primo dei settori guadagnando assai meno delle donne – ma con criteri estetici ben meno selettivi).

Prego coloro che si accingono a obiettare che la moda e il cinema e la televisione si fanno col cervello e non col corpo di tornare a leggere le fiabe della buonanotte e di non disturbare gli adulti che tentano di capire il mondo, e continuo coi non detti. Da quasi sempre, diciamo da almeno un secolo, gli unici impedimenti alla libertà assoluta (che non sto dicendo sia auspicabile) di noialtre rispetto al nostro corpo sono costituiti dall’industria cosmetica e da quella della moda, le quali fondano il loro prosperare sui condizionamenti estetici. Che siano le due industrie grazie alla quali Chiara Ferragni è una macchina da fatturato costituisce certamente una coincidenza.

Poiché il formato della serie televisiva autobiografica è quello, tutti danno corda alla convinzione di Chiara Ferragni d’essere la Carla Lonzi della sua generazione. Per primo il marito, che non teme le iperboli e scandisce senza mettersi a ridere «Credo che Chiara rappresenti per il nostro Paese qualcosa di importante», e giura sia «la prima volta che gli occhi sono tutti sulla coconduttrice e non sul conduttore». A integrare la convinzione d’essere rivoluzionaria c’è infatti, in Chiara Ferragni, un altro tratto fondativo della sua generazione: la convinzione che tutto quel che accade a lei stia accadendo per la prima volta. I giornalisti in conferenza stampa fanno domande cercando di portare a casa un titolo?

Ce l’hanno con lei, ce l’hanno tutti con lei, il mondo ostacola il suo eroico cammino. A quel punto il manager – il vero coniuge, quello sulla cui spalla Chiara piange in camerino e in villa, camerino e villa cui il legittimo coniuge non ha accesso perché lei deve stare tranquilla – le dice che è la sua forza, che lei ce la fa sempre contro tutti, perché oltre che il format della serie è anche quello della vita ferragna così come quello di tutte le persone abbastanza ricche da non essere circondate da amici ma da uno staff retribuito: nessuno dice mai loro «Smettila, mitomane».

Se pensavate che questa puntata servisse a farci vedere le reazioni al marito che sale sul palco e limona Rosa Chemical arrubbando il riflettore alla moglie conduttrice, reazioni che in effetti sono gustose nel loro essere deliranti, sappiate che dovrete aspettare un’ora tonda. Prima di dare al pubblico ciò che vuole, Chiara Ferragni – che sono ragionevolmente certa abbia l’ultima parola sul montaggio, e che evidentemente intende questa puntata come risarcimento al suo trionfo incompleto di figlia naturale di Gloria Steinem e Pippo Baudo – ci ammolla un’ora intera di glorificazione di sé.

Quelle Ferragni in sessantaquattresimo che sono le femministe di Instagram ci spiegano da anni quant’è maschilista Amadeus a cambiare coconduttrice ogni sera, senz’accorgersi che è proprio lo stare lì una sera che fa diventare le donne sul palco il centro dell’attenzione (vi assicuro che entro il giovedì eravamo già stufi marci di concentrarci sulla rivalità Cuccarini-Parietti, quando Sanremo era Sanremo). E, se le regole del gioco non le capiscono le osservatrici esterne, può mai saperle leggere Chiara Ferragni da dentro al frullatore? Può mai capire Chiara Ferragni che, di Chiara Ferragni che si prova i vestiti e ci spiega che lanciano messaggi, ne abbiamo avuto più che abbastanza a febbraio? Chiara Ferragni che, oltre che in media con questo secolo, è anche arcitaliana: arrivando nel retropalco per la sua prima uscita, si fa il segno della croce, come la moglie del Gattopardo prima di scopare.

Chiara Ferragni che sono molto curiosa di vedere cosa stia covando per la prossima stagione della sua vita e la terza della serie Prime. Due sono gli sbocchi possibili. Il marito nei mesi scorsi ha detto varie volte che gli piacerebbe un terzo figlio da adottare, e questa è sicuramente una scelta narrativa sensata: la terza gravidanza sarebbe copia di mille riassunti, l’adozione aprirebbe nuovi rivoli di racconto. Più duratura, però, sarebbe la scelta della separazione. Il tempo di superare la promozione di questa puntata sanremese, le settimane della moda, le correnti gravitazionali. Nella stagione del tartufo, annunciare che si vogliono ancora molto bene ma purtroppo eccetera. Sono almeno cinque anni di storytelling, come lo chiamano in questo secolo.

Nuovi fidanzati, allargamento del cast, moltiplicazione delle nuove case, magari persino fratellastri e sorellastre per quei due contenuti Instagram che sono Leone e Vittoria Lucia Ferragni. Keeping up with the Kardashians, modello di The Ferragnez, ha messo in scena non so più quanti divorzi (e persino il patriarca che diventa donna) e prospera da ventuno stagioni (ora ha un titolo diverso, ma immagino lo stesso fatturato). Magari una separazione è quel che ci vuole per far sembrare le crisi isteriche meno velleitarie e stabilizzare gli incassi. Certo, la moglie del Gattopardo non avrebbe mai cacciato di casa il Principone, ma neanche l’avrebbe mai relegato in una villa minore per non farsi distrarre nella settimana sanremese. Chiara, sei più postmoderna o più arcitaliana?