Mi incenso e dunque sono

di Sofia Ventura (huffingtonpost.it, 17 luglio 2020)

Il mondo occidentale è affetto ormai da qualche decennio da un cronico narcisismo. Le nostre sono società di narcisisti. Articoli e libri sono stati scritti per spiegare questa involuzione di massa, per individuarne le innumerevoli cause, non ultima la creazione di immensi palcoscenici mediatici a disposizione di chiunque, dalla persona comune ai componenti di quelle che un tempo erano le élite e oggi sono divenute in buona parte soprattutto circoli di privilegiati, spesso senza particolari qualità e senso di responsabilità.

Mondadori Portfolio via Getty Images
Mondadori Portfolio via Getty Images

Dietro la tendenza generale, ogni Paese e cultura declina questa mutazione genetica adattandola alle proprie caratteristiche, storie e tradizioni. L’Italia, forse più di altri Paesi, ha sviluppato una modalità singolare, figlia del suo cronico provincialismo, probabilmente anche della debolezza delle sue istituzioni, intese in senso lato, del suo individualismo malsano (perché ne esiste anche uno di sana natura), della sua attitudine al melodramma, della sua predisposizione alla Commedia dell’Arte, della sua inguaribile propensione a crogiolarsi in una rassicurante ipocrisia, della sua inclinazione alla vita in consorterie, dove l’appartenenza tende a far terra bruciata di ogni attitudine per la schietta lettura della realtà (quando si tratta di giudicare dei consorziati). Quella modalità è l’autoincensamento.

Pressoché scomparsa ogni onesta capacità di autocritica, guardandosi attorno, nelle professioni, nel giornalismo, sui social, tra conoscenti, in politica, nei media, si scorge l’ossessiva inclinazione a “disegnarsi” bravi, bravissimi, attenti, coscienziosi, intelligenti, preveggenti, onnisapienti, e via lodando(si). Dalla società alla politica. Nell’accademia il vezzo è ormai molto diffuso, l’esibizione è di moda. Come in politica, la costruzione della propria immagine si sta affermando come un imperativo e passa sovente proprio attraverso l’autoincensamento e la messa a punto di scelte e percorsi che concorrono a nutrire l’immagine da auto-incensare. Talvolta con l’aiutino di piccole mistificazioni della realtà.

La politica è il palcoscenico per eccellenza dei narcisisti, e soprattutto di quanti, persi nella propria ambizione e nel proprio amore di sé, sono tanto obnubilati dal proprio narcisismo da non accorgersi che le loro mirabolanti qualità sono spesso frutto delle loro fantasie. Alcuni esempi? Mi limiterò a due, escludendo Silvio Berlusconi, non perché non possa rientrare nella categoria dei politici narcisisti, anzi. Ma perché è tutto sommato un personaggio più articolato e complesso di più recenti leader politici, che invece hanno comportamenti quasi “didascalici” e potrebbero fungere da modello per un manuale del politico narcisista con attitudine all’autoincensamento. Parlo di Matteo Renzi e Giuseppe Conte.

Renzi è stato un maestro nell’arte del racconto mirabolante di sé e del suo governo. Così declamava ai tempi gloriosi di Palazzo Chigi, uno tra i mille esempi che si potrebbero portare: «Calcisticamente parlando, qualcuno pensa che io sia un fantasista, cioè quello che inventa il colpo a sorpresa, o il portiere fortunato, che para i rigori perché provoca l’avversario. Non hanno capito che, dal punto di vista amministrativo, io sono un mediano (o, in termini non calcistici, accessibili anche a chi non si interessa di pallone, un mulo), che su tutti i palloni si mette lì e “butum-butum” studia le carte. Ma è meglio che non lo abbiano compreso: così arrivo a fari spenti lì dove voglio arrivare, con buona pace di tutti i commentatori e dei professionisti della gufata». D’altro canto, la sua pagina Twitter continua ad essere lo specchio dell’amore del suo popolo e della sua indefessa azione per il bene dell’Italia.

In particolare nell’anno del Conte II, quando il suo Ego si è trovato pienamente a suo agio per esprimersi, il nostro attuale presidente del Consiglio, pur con uno stile diverso, non è stato da meno. Davanti alle Camere, nelle conferenze stampa, nelle interviste, parti significative dei suoi discorsi sono state dedicate alla consapevolezza, coerenza, preveggenza, attenzione, rigore, accuratezza, meticolosità, linearità sua e del governo da lui guidato (e mediaticamente dominato). Oltreché ai prodigiosi risultati conseguiti e alle inedite e senza pari nel mondo misure adottate, tanto da divenire un modello per gli altri Paesi e financo, se non una guida, un cruciale pungolo. L’esempio più recente – ma la sua intensa produzione verbale ci permetterebbe di attingere a piene mani a una molteplicità di saggi di questa incantevole arte – ce lo regala la sua comunicazione alla Camera del 15 luglio, in vista del Consiglio Europeo: «Mai come in questa occasione dobbiamo riconoscere che le sessioni dell’Unione Europea si sono mostrate sensibili agli strumenti con i quali il mio governo, già nelle fasi iniziali della pandemia, ha cercato di leggere ed interpretare la natura e la portata della sfida che avevamo e abbiamo ancora davanti. Mai come oggi possiamo affermare che l’Italia ha contribuito in misura decisiva a orientare la prospettiva nella quale collocare le risposte che l’Unione, che l’Europa è chiamata ad aprire». La crisi del Covid-19, inoltre, ha naturalmente costituito un’occasione imperdibile per questa operazione di auto-incensamento, sin dall’inizio (conferenza stampa dell’8 marzo): «Stiamo affrontando un’emergenza, un’emergenza nazionale, l’abbiamo fatto sin dall’inizio con misure di massima cautela, la stiamo affrontando con consapevolezza, senza sottovalutarla, noi abbiamo scelto come sapete il criterio della verità, della trasparenza e adesso ci si sta muovendo con lucidità, anche con coraggio, con fermezza e – queste misure lo dimostrano – con determinazione».

Volgendo lo sguardo a un mondo prossimo alla politica, quello dell’infotainment, cominciamo a scorgere attitudini simili, perlomeno in certi giornalisti-conduttori e programmi più prossimi all’informazione pop, per un pubblico vasto. E così veniamo a sapere dai padroni di casa che quei contenitori aprono importanti finestre sulla realtà, sono attenti a quello che la gente vuole sapere, non fanno sconti a nessuno, forniscono a ogni pie’ sospinto notizie inedite! Lo spettatore non deve giudicare, deve credere. Insomma, si direbbe che siamo circondati da un mondo di bravissimi (un po’ piazzisti): venghino siori venghino, qui troveranno il meglio! Certamente si tratta di una condizione parecchio irritante per chi ancora ha voglia di mettere in funzione il cervello e non è incline a farsi prendere per il naso. Ma il peggio non è questo. Il peggio è che, essendo l’auto-incensamento efficace – e qui magari psichiatri e psicologi potrebbero aiutarci a capire il perché, anzi, sono caldamente invitati a farlo –, il mondo reale viene trasfigurato.

È bravo chi dice e riesce a far credere di essere bravo, scrive cose eccellenti chi riesce a convincere di essere un grande studioso o un fine intellettuale (tanto ormai chi legge? O quanti sono capaci di giudicare un testo?), governa bene chi dice e riesce a far credere di governare bene, le cose stanno come sono raccontate da chi si mostra come e riesce a convincere di essere un serio analista. I risultati sono annebbiati, a loro volta reinterpretati. Naturalmente questo blob non investe la totalità delle credenze e convinzioni, non tutti ci cascano. Ma la forza delle convinzioni di chi si auto-incensa e il conformismo dominante, in particolare dei “gruppi”, forniscono solide radici alle narrazioni nate dall’auto-incensamento, anche in virtù del processo di opportunistico incensamento reciproco dentro ai network. Anzi, di solito, il meccanismo è quello del circolo vizioso tra auto-incensamento e feedback incensatorio, nelle piccole e grandi comunità. Un fenomeno certo non nuovo, ma che nell’epoca del narcisismo dominante, dove la popolarità tende a prevalere su altri criteri di valutazione, ha assunto dimensioni preoccupanti.

Superfluo dire che ad essere trasfigurato è anche il valore del merito: l’abilità di far credere prevale su ciò che realmente è, che siano in gioco la competenza e la conoscenza, la capacità di elaborazione intellettuale, la capacità di ricostruire la realtà, di governare fenomeni complessi, e così via. Altrettanto superfluo rammentare che questo fa sì che il mondo reale, empirico, di conseguenza, venga trattato come se le narrazioni auto-incensatorie e incensatorie fossero vere e non più simili, come spesso sono, a leggende metropolitane. Gli effetti disastrosi sono facilmente immaginabili: si agisce in un mondo di “come se”. Che il mondo reale sia inevitabilmente percepito attraverso frame e interpretazioni lo sappiamo, ma sappiamo che esistono modi per avvicinarsi a comprensioni il più realistiche o comunque empiricamente fondate possibile. Il contrario del lasciarsi avvincere dalle leggende metropolitane. Mi incenso e dunque sono, e quel che è peggio è che lo sono anche per gli altri. E tutti felici, a vivere in realtà alternative.