«We see you»: le minacce social di Israele a Gigi Hadid

di Ilaria Roncone (giornalettismo.com, 18 ottobre 2023)

Del caso di Gigi Hadid minacciata da Israele si sta parlando molto. La supermodella statunitense di origini palestinesi si è esposta su Instagram con una serie di considerazioni equilibrate rispetto al conflitto, evidenziando l’unica cosa che dovrebbe contare: una vita persa è una vita persa, poco importa che sia israeliana o palestinese. Una presa di posizione via post (in cui è stata tolta la possibilità di commento), con i suoi quasi 80 milioni di follower, che non è piaciuta all’account ufficiale dello Stato di Israele.

Partiamo dal post di Gigi Hadid che ha scatenato tutto: «I miei pensieri vanno a tutte le persone colpite da questa tragedia ingiustificabile: ogni giorno in questo conflitto vengono spezzate vite innocenti, troppe delle quali sono dei bambini. Provo una profonda empatia e dolore per la lotta palestinese e la vita sotto occupazione, è una responsabilità che sento quotidianamente. Ma avverto anche la responsabilità, nei confronti dei miei amici ebrei, di chiarire, come ho già fatto in passato: anche se ho speranze e sogni per i palestinesi, nessuno di essi comporta il danno arrecato a una persona ebrea. Terrorizzare persone innocenti non è in linea e non fa alcun bene al movimento della “Palestina Libera”».

Prosegue: «Se stai soffrendo, mentre condivido le condoglianze ai miei cari, sia palestinesi sia ebrei, ti giungano il mio amore e la mia forza, chiunque e ovunque tu sia. Ci sono molti sentimenti complessi, personali e validi, ma ogni essere umano merita diritti fondamentali, cure e sicurezza; non importa la loro nazionalità, religione, etnia o dove sono nati. So che le mie parole non saranno mai sufficienti né guariranno le ferite profonde di così tante persone, ma prego per la sicurezza di vite innocenti, sempre».

La reazione di Israele è non si è fatta attendere: «Ehi Gigi Hadid la scorsa settimana dormivi? O ti va bene chiudere un occhio davanti ai bambini ebrei massacrati nelle loro case? Il tuo silenzio è stato molto chiaro riguardo alla tua posizione. Attenta che ti vediamo». Tutto questo, com’è possibile vedere dagli screen condivisi su Twitter, corredato da immagini violente e minacciose. La questione è diventata – considerata la notorietà dei due profili coinvolti – di dominio mondiale.

Risulta interessante capire la natura di quel «We see you», tradotto “ti vediamo, ti guardiamo”, per capire ciò che giace tra le righe di questo messaggio. Urban Dictionary spiega il senso dell’utilizzo di questa espressione: «Quando qualcuno viene chiamato in causa (di solito su Twitter) per non aver fatto la cosa giusta. Ad esempio, ha il potere di impedire che accada qualcosa di brutto, ma non ha cercato di prevenirlo o, peggio, si è scoperto che vi ha contribuito e magari ha mentito o ha cercato di coprirlo. L’implicazione è che la persona dovrebbe vergognarsi delle sue azioni (o della sua mancanza) e che è stata notata in modo che a un certo punto in futuro avrà la sua rivincita. Si tratta essenzialmente di una minaccia velata che la vendetta arriverà, forse non oggi, forse non domani, ma un giorno. Spesso scritto in maiuscolo».

Basta osservare il profilo Instagram – e, in genere, i social – di Israele per comprendere che utilizzo ne venga fatto. Dal condividere contenuti di giornali e di persone più o meno influenti che possano fare gioco alla propaganda israeliana, però, si è passati alla neppure troppo velata minaccia a un personaggio pubblico di origini palestinesi. Personaggio pubblico che, ovviamente, ha un forte ascendente con il quale si è ritenuto di dover interferire. Un’interferenza, quella di Israele, che ha provocato una serie di cause prevedibilissime che – però – non sono state prese in considerazione. Sono diverse le fonti estere che, da ieri, riportano come Gigi Hadid e alcuni membri della sua famiglia siano stati minacciati di morte per il sostegno espresso dalla supermodella. Le minacce sarebbero arrivate attraverso diversi canali di comunicazione, dalle email agli account social, e persino sugli smartphone.