L’attivismo su TikTok è concreto o virtuale?

di Yezers, a cura di Ellen Stephany Vanegas (huffingtonpost.it, 12 aprile 2022)

L’uso propagandistico dei social media è cosa assai nota. Negli anni Trenta c’era la radio, oggi c’è Meta, la vecchia Facebook, al centro di numerose critiche a seguito dello scandalo Cambridge Analytica. I social media, nati come nuove forme di comunicazione e innovazione, ben presto si sono rivelati essere terreno fertile per la diffusione di fake news, che alimentano la rabbia sociale, canalizzata in campagne d’incitamento all’odio, troppo spesso riconducibili a correnti politiche di estrema destra. I partiti progressisti, infatti, hanno fallito là dove i partiti di destra sono riusciti: nella comunicazione. La macchina propagandistica della destra statunitense ed europea è riuscita, infatti, tramite l’uso dei social media, ad attrarre a sé quell’elettorato più distante dalla scena politica tradizionale, i cosiddetti “left-behind”.

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D’altronde le grandi testate giornalistiche “fanno politica”, mentre le piattaforme come Facebook, dove ognuno può dire la propria, avviano un processo di democratizzazione reale della comunicazione, o almeno questo è il messaggio che molti strateghi e social media manager hanno voluto far passare. Tuttavia, le nuove generazioni, e in particolare quella Z, sembrano volersi riprendere i propri spazi, in particolare i social media, o meglio quello dei nuovi social media. Sono lontani, infatti, gli anni in cui i più giovani trascorrevano ore su Facebook, oggi c’è Instagram, ma soprattutto TikTok. TikTok in pochissimi anni è diventato uno strumento di mobilitazione sociale di massa, utilizzato da numerosissimi giovani attivisti per far politica e sensibilizzare i propri follower su temi sociali e ambientali. Dal 2020 il social network cinese ha poi lanciato “TikTok for Good”, un apposito spazio all’interno della piattaforma che ha come obiettivo quello di ispirare le nuove generazioni e dare loro lo spazio necessario affinché possano incidere positivamente sulla realtà che li circonda.

L’impegno di TikTok per sensibilizzare i più giovani su temi fondamentali come la malnutrizione infantile risale al 2019, quando, in collaborazione con le Nazioni Unite e il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad), ha lanciato la #DanceForChange challenge a sostegno delle popolazioni rurali africane. La #DanceForChange challenge è riuscita a generare più di 33mila video e ben 81 milioni di visualizzazioni. Si tratta di numeri effettivamente importanti: tuttavia c’è da chiedersi se TikTok non sia solo l’ennesimo strumento di sensibilizzazione virtuale, ricco di campagne di green o pink o rainbow washing, ma concretamente incapace di incidere sulla realtà. E più direttamente, visto che una piattaforma agisce nel modo e nella misura in cui agiscono i suoi utenti: i tiktoker della Z Generation sono realmente in grado di realizzare azioni concrete che portino ad effettive mobilitazioni di massa?

Ciò che sono riusciti a fare migliaia di tiktoker americani a Tulsa, in Oklahoma, lo scorso 2020, sembra rispondere positivamente al nostro quesito. Durante la campagna presidenziale di Donald Trump, alcuni influencer di TikTok sono riusciti a mobilizzare migliaia di utenti affinché prenotassero quasi tutti i posti del Bank of Oklahoma Center, così da impedire ai sostenitori di Trump di partecipare all’evento, sabotando così un appuntamento atteso con ansia da tutto il popolo trumpiano. I movimenti come quelli dei Fridays for Future ci hanno del resto dimostrato che la Generazione Z è una generazione di attivisti diversa dalle precedenti; più empatica e consapevole delle contraddizioni che caratterizzano la nostra società: che più che limitarsi a sensibilizzare, agisce. Mobilita le masse, fa attivismo on line con petizioni e raccolte fondi, si riprende i social media, o per lo meno ne nobilita l’uso di quelli nuovi.